L'organizzazione europea accogliendo un ricorso della Cgil ha stabilito che il nostro Paese viola il diritto alla salute nonostante quanto previsto in tema di interruzione volontaria di gravidanza. Camusso: "Sentenza importante, l'applicazione della legge non può restare soltanto sulla carta". Ministro Lorenzin: "Sono dati vecchi, molto stupita". Il sindacato: "Falso"
Il diritto delle donne ad abortire in Italia non è garantito e i medici non obiettori sono discriminati. Il Consiglio d’Europa ha accolto un ricorso della Cgil per la mancata applicazione della norma sull’interruzione volontaria di gravidanza e stabilito che nel nostro Paese le pazienti continuano a incontrare “notevoli difficoltà” nell’accesso ai servizi, nonostante quanto previsto dalla Legge 194. La sentenza ha inoltre stabilito che l’Italia discrimina medici e personale sanitario che non hanno optato per l’obiezione di coscienza. E sostiene che questi sono vittime di “diversi tipi di svantaggi lavorativi diretti e indiretti”. E’ la seconda volta che il comitato arriva alla conclusione che l’Italia non sta rispettando quanto stabilito dalla legge 194.
Secondo il ministro della Salute Beatrice Lorenzin la sentenza si sarebbe basata su dati vecchi e non aggiornati. Una posizione smentita dalla stessa Cgil. “Non ho approfondito ma sono molto stupita”, ha commentato Lorenzin, “dalle prime cose che ho letto mi sembra si rifacciano a dati vecchi del 2013”. Per Lorenzin non c’è violazione del diritto alla salute: “Assolutamente no. Alcune aziende pubbliche hanno qualche problema di criticità dovuto a questioni di organizzazione, ma siamo nella norma”. Ma il sindacato della Cgil ha subito puntualizzato: “I dati sono aggiornati alla pubblica udienza che si è tenuta davanti alla Corte europea dei Diritti dell’uomo a Strasburgo il 7 settembre 2015 e non sono mai stati smentiti dal ministero della Salute e dal Governo italiano”. La stessa segretaria ha espresso la sua soddisfazione per il risultato: “Si tratta di una sentenza importante perché ribadisce l’obbligo della corretta applicazione della legge che non può restare soltanto sulla carta. Il sistema sanitario nazionale deve poter garantire un servizio medico uniforme su tutto il territorio nazionale, evitando che la legittima richiesta della donna rischi di essere inascoltata”. Il riconoscimento di queste violazioni secondo la Cgil è una “vittoria per le donne e per i medici, ma anche per l’Italia”.
A rendere problematico l’accesso all’aborto per le donne, secondo Strasburgo, sono tra le altre cose una diminuzione sul territorio nazionale del numero di strutture dove si può abortire e la mancata sostituzione del personale medico che garantisce il servizio quando un operatore è malato, in vacanza o va in pensione. A individuare i problemi è stato il comitato europeo per i diritti sociali del Consiglio d’Europa. Il comitato ha rilevato che le strutture sanitarie “non hanno ancora adottato le misure necessarie per rimediare alle carenze nel servizio causate dal personale che invoca il diritto all’obiezione di coscienza, o hanno adottato misure inadeguate”.
L’interruzione volontaria di gravidanza è consentita dalla 194, ma non sempre garantita: gli obiettori di coscienza sono in media circa il 70% del totale, con picchi che superano il 90% in alcune regioni. Dal 2006 al 2013 i medici ginecologi obiettori italiani sono aumentati, dal 69,2% al 70% del totale. Il ministero della Salute però ha sminuito il problema e nell’ultima Relazione al Parlamento sulla legge 194, trasmessa nello scorso novembre, il numero di non obiettori (1.490 nel 2013) sarebbe congruo, anche a livello sub-regionale, rispetto alle interruzioni di gravidanza effettuate, e non dovrebbe creare problemi nel soddisfare la domanda.
A febbraio c’erano state alcune polemiche dopo la depenalizzazione di alcuni reati in materia di aborto, ma anche l’introduzione di una maxi sanzione che aumenta da 50 euro fino a 5-10 mila euro la cifra che una donna è costretta a pagare in caso di interruzione volontaria di gravidanza non effettuata nei tempi stabiliti e in strutture idonee, così come previsto dalla legge.