Non me l’aspettavo di finire anch’io etichettato con una di quelle sigle che vanno tanto di moda nell’epoca degli acronimi didattici.
Eppure cari allievi, qualche giorno fa anche il vostro maestro è stato “battezzato”, è entrato a far parte di quelli “problematici”, di quelli che qualcuno definisce “delinquentelli” o drop out. Al corso di formazione obbligatorio per noi insegnanti neo immessi in ruolo, mi hanno definito Dop”, soggetto con un disturbo oppositivo provocatorio.
Mi hanno appiccicato queste tre lettere solo perché ho osato dire la mia come vi insegno ogni giorno in classe.
Mi sono permesso di spiegare che da quelle lezioni non avevo imparato nulla.

scuola

Eh sì cari ragazzi, anche i vostri maestri vanno a scuola. Dopo quasi dieci anni d’insegnamento, ora che mi hanno assunto hanno deciso di “formarmi”, di mettermi alla prova.
Voi penserete: “A noi non cambia nulla. Tu eri maestro prima e lo sei ora”.
E’ proprio così ma fino a dieci mesi fa nessuno si interessava di me, ero solo un “precario”, uno che riempiva un buco come le centinaia di ragazzi laureandi che stanno in classe senza neanche aver conseguito la laurea o l’abilitazione: servono allo Stato. Punto.

Ora, invece, hanno deciso di mandarmi a scuola. A loro non interessa se il vostro maestro ha letto Lettera ad una professoressa di don Lorenzo Milani, se è stato a Barbiana ad imparare che succedeva in quella scuola dove i bambini si emancipavano, apprendevano la Costituzione, le lingue e studiavano 365 giorni l’anno. Loro mi insegnano solo ciò che dice la Legge. Mai vista una sola volta la Costituzione sulle “loro” cattedre.
In questa scuola dove andiamo per obbligo non mi hanno mai parlato di quel maestro che vi ho raccontato in classe parlandovi di “Cipì”, leggendovi La mongolfiera, mostrandovi cosa faceva nella sua scuola a Vho.
Per farmi diventare un “bravo” maestro non mi insegnano ciò che mi ha trasmesso Alberto Manzi ovvero che “chiunque in classe è primo in qualcosa” ma preferiscono parlarmi di acronimi, di “tipi” di bambino.
Io provo a farvi amare la scuola rispettando i vostri diritti, quelli che mi ha insegnato un preside e un uomo come Gianfranco Zavalloni: “Il diritto all’ozio, a vivere momenti non programmati dagli adulti”; il diritto al dialogo; il diritto al silenzio”.
Ma “loro” lo conoscono questo Zavalloni?

In questa mia scuola, dove come voi vado per obbligo, non mi hanno mai detto quelle straordinarie parole di Maria Montessori: “Il bambino è padre dell’uomo”.
Mi è persino venuto il dubbio che sia io l’errore perché vi insegno ad avere un pensiero critico. E’ successo anche l’altro giorno quando per l’ennesima volta mi avete detto che il cibo in mensa non vi piaceva. Vi ho insegnato ad esercitare la democrazia che abbiamo studiato sul libro di storia: vi ho invitati a prendendo carta e penna per scrivere una lettera al sindaco.
Ai miei “professori” ho “solo” detto che quella scuola non mi piaceva perché in tutte le loro parole non avevo sentito una sola volta nominare i maestri dei maestri: Maria Montessori, don Lorenzo Milani, Alberto Manzi, Célestin Freinet, Paulo Freire, Mario Lodi, Zavalloni.
Risultato?
Mi hanno etichettato, dop. Da oggi per “loro” sono un oppositore provocatorio.

Sapete, cari ragazzi, che vi dico?
E’ vero. Se “quella” dev’essere la scuola del futuro, dettata solo dalle Leggi, dagli acronimi, dal “dovete” fare, dal voto, dai verbali, dai test a crocette, dal giudicarvi io preferisco oppormi e continuare a provocare perché credo in una scuola che non vi giudica ma vi comprende; che vi è accanto anche dopo il suono della campanella; che conosce la fatica della diversità; che vi spiega cosa sono la dislessia e l’autismo attraverso le esperienze e non si ferma all’etichetta. Una scuola che ha ben presente le parole di Danilo Dolci “Ciascuno cresce solo se è sognato”.
Voglio essere un maestro “Dop” per continuare a insegnarvi a provocare in questa società dove si preferisce il tacere al silenzio che parla: dove si preferiscono le teste abbassate alle schiene dritte.
Voglio essere un maestro che si oppone a chi dimentica l’eredità dei grandi maestri.
Voglio essere un maestro che prova ogni giorno a coniugare con voi il verbo sapere con il verbo partecipare.
Voglio essere un maestro che “disturba” chi crede che siamo burattini perché ogni giorno vi insegno a essere protagonisti.

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