“Ma l’impresa eccezionale – dammi retta – è essere normale”. Chissà se Mario Balotelli ha mai ascoltato Disperato erotico stomp di Lucio Dalla. Forse dovrebbe farlo, arrivato alle porte dei 26 anni, nel pieno della maturità calcistica ed anagrafica, all’ennesima (l’ultima?) occasione di una carriera bruciata. Potrebbe essergli d’ispirazione, per capire cosa fare da grande ora che l’etichetta di giovane promessa gli si è scollata definitivamente di dosso. Milan-Juventus non ha riaperto il campionato ma forse ha rappresentato un nuovo inizio per Balotelli. Un’altra volta, si dirà. Sì, ma in maniera diversa. Mihajlovic (anche per le numerose assenze e la mancanza di alternative credibili) lo ha schierato titolare, lui ha giocato discretamente, i giornali hanno subito titolato “Balo is back”. Niente di più falso, solite esagerazioni che la stampa continua a riservare ad un personaggio che sembra non poter conoscere mezze misure. Mario non è stato “super”, solo presentabile: un assist (da calcio d’angolo), un bel tiro (ma sempre da fermo, su punizione), parecchi passaggi sbagliati ma tanta corsa e buona volontà, che è quello che più conta. È mancato il gol, più per merito di Buffon che per demerito suo. Settantasette minuti da sufficienza piena. Nulla di straordinario, insomma. Ma forse è persino meglio così.
Alla vigilia, il big match era stato presentato come la chance di Balotelli di riconquistare il Milan e la nazionale. Le parole di Mihajlovic, quelle di Galliani sulle possibilità di riscatto a fine stagione, i virgolettati attribuiti al giocatore sul sogno di sfruttare le ultime giornate per convincere Antonio Conte e andare a Euro 2016. Stavolta, a differenza che in passato anche recente (vedi il flop dei 50 minuti e sostituzione contro il Sassuolo un mese fa), l’attaccante rossonero ha risposto presente. Senza fare il fenomeno (e neppure il fenomeno da baraccone), semplicemente facendo il giocatore. Correndo per la squadra, sacrificandosi, sbagliando anche tanto. Proprio come tutti gli altri. Fin qui il campionato di Balotelli è tutto da dimenticare. Un gol in sedici presenze in Serie A, tantissime panchine anche dopo essere tornato dall’operazione per pubalgia che lo ha tenuto fuori da ottobre a gennaio. Nonostante un comportamento esemplare, Mario è diventato come schiavo del suo stesso personaggio, e non è più riuscito ad esprimersi nemmeno in campo, dove i colpi non gli erano mai mancati, pur tra alti e bassi. Così la stagione è stata un disastro, come quella precedente, e quella precedente ancora. Restano sei partite da giocare, magari da titolare. Non potranno cambiare il bilancio complessivo, ma la dimensione e le prospettive di Balotelli forse sì. A patto di continuare con la stessa testa di quei settanta minuti contro la Juventus.
Basta numeri, giocate eccezionali, “balotellate”. Lui non le deve più cercare, né il pubblico aspettarsele. Torneranno in futuro, seppure. Perché “Super Mario”, forse, non esiste più. Oggi resta solo Balotelli, che a 26 anni ha davanti a sé la sfida più difficile e importante: diventare un calciatore vero. Di quelli che prendono 6,5 o 5,5 in pagella, e non per forza 8 o 4. Uno come gli altri. E magari – perché no – più bravo degli altri: i mezzi tecnici e fisici, quelli sì straordinari, c’erano tutti e ci sono ancora. Per la normalità non è mai troppo tardi. Dai retta a Lucio, caro Mario: sarebbe questa la vera “impresa eccezionale”. In fondo, è tutto ciò che ti è sempre mancato.