Secondo il rapporto annuale di Amnesty International sulla pena di morte, reso pubblico mercoledì 6 aprile, lo scorso anno il boia ha lavorato come mai aveva fatto nell’ultimo quarto di secolo.
Nel 2015, almeno 1634 persone (il numero non comprende la Cina, dove la pena di morte è un segreto di stato) sono state messe a morte in 25 paesi. Quasi un terzo di questi si trova nella regione di cui si occupa questo blog.
Nella regione mediorientale, con l’eccezione di Israele (dove la pena di morte è stata cancellata solo per i reati ordinari e dove lo scorso anno il parlamento ha bocciato una proposta di legge che avrebbe abolito l’unanimità della giuria per condannare imputati di terrorismo), la pena di morte è praticata con allarmante frequenza. Nel 2015 sono state eseguite almeno 1196 condanne a morte – spesso al termine di processi irregolari – in otto paesi, con un aumento del 26 per cento rispetto alle 945 esecuzioni, sempre in otto paesi, registrate nel 2014.
Con almeno 977 prigionieri messi a morte, l’Iran ha fatto registrare l’82 per cento delle esecuzioni della regione. In questo paese sono state anche eseguite quattro delle nove condanne a morte nei confronti di minorenni al momento del reato (le altre cinque hanno avuto luogo in Pakistan).
Sebbene la vasta maggioranza delle esecuzioni abbia riguardato reati di droga, non ne sono mancate per reati politici. Il 4 marzo 2015 sei uomini della minoranza sunnita sono stati messi a morte per il reato di “inimicizia verso Dio” (moharebeh). Stesso reato e stesso destino per Bahrouz Alkani, un curdo accusato di militare nel Partito per una vita libera del Kurdistan, impiccato il 26 agosto nonostante fosse ancora in attesa dell’esito dell’appello alla Corte suprema.
L’Arabia Saudita ha messo a morte almeno 158 prigionieri (73 dei quali cittadini stranieri): il più alto numero di esecuzioni registrato dal 1995, con un aumento del 76 per cento rispetto al 2014. In questo paese sono state anche emesse condanne a morte per apostasia e adulterio. Il 2016 potrebbe essere persino peggiore: nei primi tre mesi dell’anno le esecuzioni sono state oltre 80. Le condanne a morte sono state eseguite principalmente tramite decapitazione ma alcune anche mediante plotone di esecuzione, in pubblico e, in alcuni casi, con l’esposizione dei cadaveri delle persone messe a morte. Le autorità spesso non hanno informato dell’imminente esecuzione né i familiari né le stesse persone condannate a morte e non hanno restituito i corpi ai familiari.
In Iraq le esecuzioni sono state almeno 26 (ma si teme un’accelerazione nel 2016) e in Egitto 22. Le altre esecuzioni nella regione sono avvenute negli Emirati arabi uniti (1), in Giordania (2), Oman (2) e Yemen (almeno 8). Non si sa se vi siano state esecuzioni al termine di procedimenti giudiziari in Siria, ma sarebbe stato il meno dato il contesto di guerra del paese.
In aumento, rispetto al 2014, sono risultate anche le nuove condanne a morte: almeno 831 contro le almeno 785 dell’anno precedente. La maggior parte delle sentenze è stata emessa in Egitto (538), seguito dall’Iraq (89) e dal Libano (23) mentre non è noto il numero delle nuove condanne inflitte in Iran.