Le recenti cronache dalla Basilicata, con il sequestro delle cartelle cliniche da parte della Magistratura per verificare i rischi per la salute delle persone residenti nei territori interessati dalle estrazioni petrolifere, mi hanno ricordato un articolo di diversi anni fa, a firma anche di Lorenzo Tomatis, che si concludeva con queste parole: “Non vorremmo che in Italia rimanesse solo la Magistratura a difendere la salute pubblica”. Purtroppo anche quanto sta emergendo da questo vergognoso scandalo conferma una volta di più che le mappe della corruzione, dell’inquinamento e quindi dei rischi per la salute umana coincidono. E non può che suscitare una profonda amarezza il constatare che ancora una volta le istituzioni preposte alla difesa della salute e dell’ambiente hanno fatto orecchi da mercante e le poche, coraggiose voci, come quella del collega Gianbattista Mele di Isde o della Prof.ssa Albina Colella, rimanevano isolate quando addirittura non irrise.
Questa vicenda è comunque una buona occasione per ricordare che il 17 aprile si avvicina ed i medici per l’Ambiente hanno espresso con chiarezza il loro parere sul referendum, invitando ad andare a votare e a votare sì! In questo comunicato abbiamo, con altrettanta chiarezza, rimarcato anche la nostra contrarietà non solo al prolungamento dell’estrazione entro le 12 miglia in mare per tutta la vita del giacimento (quesito oggetto del referendum), ma anche alle estrazioni petrolifere oltre le 12 miglia e nel sottosuolo.
Il petrolio e tutti i combustibili fossili devono rimanere dove sono e tutta la politica energetica del paese andrebbe ripensata perché le tecnologie per utilizzare molto più estesamente le vere energie rinnovabili ci sono tutte, ma – come spesso purtroppo accade – manca la volontà politica di farlo. Di fatto, invece di imboccare una via coerente con gli impegni di COP21 e che rifugga dalle combustioni – sulle quali l’Isde ha aperto un’importante campagna nazionale – si continua sulla strada gradita alle lobby e agli affaristi di turno, dimenticando i costi sanitari ed ambientali che tutto ciò comporta. Infatti, anche in assenza di incidenti conseguenti alla ricerca/estrazione/trasporto del petrolio – questa pratica comporta, sia che avvenga in mare che in terra, una profonda alterazione dell’ambiente circostante e degli ecosistemi. Nei sedimenti prossimi alle piattaforme si ritrovano – frequentemente oltre i limiti definiti dagli standard di qualità ambientale (o SQA, definiti nel DM 56/2009 e 260/2010) – metalli pesanti (cromo, nichel, piombo e talvolta anche mercurio, cadmio e arsenico) ed idrocarburi policiclici aromatici (Ipa). Alcune tra queste sostanze sono cancerogene e in grado di risalire la catena alimentare attraverso la bio-magnificazione, raggiungendo così l’uomo in concentrazioni elevate e tali da causare seri danni all’organismo.
I primi a soffrirne sono i lavoratori addetti: recentemente è stato pubblicato uno studio riguardante l’incidenza tumorale su una coorte di 41.140 lavoratori norvegesi, divisi per sesso, impiegati sulle piattaforme petrolifere. E’ stata complessivamente rilevata una maggiore incidenza di tutti i tumori (+17%), specie fra le donne in cui si è avuto un rischio più che doppio di melanoma e di oltre 4 volte per la leucemia mieloide acuta. Ma anche per i residenti entro mezzo miglio e oltre mezzo miglio da pozzi per estrazioni a terra di gas naturale è stato documentato un incremento di rischio per esposizione soprattutto al trimetilbenzene, allo xilene, agli idrocarburi alifatici e al benzene.
Ed anche per quanto riguarda le trivellazioni di profondità (oltre i 2 km) per ricerca di risorse geotermiche è interessante leggere cosa scrive la stessa Eni: “L’energia geotermica viene di solito considerata un’energia pulita“. Tuttavia, purtroppo, le cose in natura non sono così semplici e “pulite”. Le acque che circolano nel sottosuolo raramente sono acque dolci: nella maggior parte dei casi si tratta di soluzioni saline altamente concentrate, spesso contenenti sostanze fortemente inquinanti e tossiche. Il vapore acqueo è in genere associato ad altri gas, come H2S e CO2, mentre nelle acque sono spesso presenti metalli pesanti o arsenico. Queste acque sono fortemente aggressive e corrodono rapidamente le tubature e le attrezzature con cui vengono a contatto, per cui si rende necessario l’utilizzo di materiali speciali. Acque con queste caratteristiche, ovviamente, non possono nemmeno venire a diretto contatto con suoli e prodotti agricoli, animali o cibi e il loro uso deve necessariamente essere interdetto”. E tutto questo succede beninteso quando le estrazioni avvengono in modo “regolare”!
Con il referendum del 17 aprile abbiamo una buona occasione per farci sentire, mandando un chiaro segnale al governo: non sprechiamola! Andiamo in massa a votare e votiamo sì!