Scemato l’effetto annuncio, il mercato si è messo a fare due conti sull’operazione Atlante per scoprire dal poco che si sa che non è poi la panacea di tutti i mali delle banche italiane. Anzi, a giudicare da come i proponenti hanno presentato il fondo agli investitori istituzionali, più che un affare sembra un intervento da ultima spiaggia. Nel progetto, secondo una bozza pubblicata dal Messaggero, Quaestio sgr spiega che “ in assenza di un intervento di sistema vi sarebbe un rischio concreto che le operazioni di Popolare Vicenza e Veneto Banca non trovino pieno riscontro sul mercato, portando, in caso di mancato intervento dei consorzi di garanzia, all’assogettamento delle banche interessate a una procedura regolamentare di resolution e conseguente bail-in”. Una premessa che la dice lunga sullo stato effettivo di salute del sistema bancario italiano, posto che le banche in difficoltà non sono solo le due venete.
Preoccupa anche l’entità degli “investimenti volontari” nel fondo che banche, assicurazioni, Fondazioni e altri investitori istituzionali dovranno effettuare, a partire dal miliardo di euro a testa che sborseranno Intesa Sanpaolo e Unicredit, istituti peraltro già impegnati a garantire il buon esito degli aumenti di capitale delle due ex popolari venete. Il mercato non ha preso bene questi esborsi annunciati e a Piazza Affari i titoli bancari sono tornati ancora una volta nel mirino con una raffica di sospensioni per eccesso di ribasso e con i due “campioni nazionali” – Intesa e Unicredit – che hanno terminato la seduta in calo rispettivamente del 4 e del 5%. La percezione diffusa è che la logica di mercato c’entri molto poco con le decisioni di investimento di Atlante e a sintetizzarla con una battuta è Carlo Alberto Carnevale Maffè, docente di strategia alla Bocconi, secondo cui “Atlante ha le spalle strette e le gambe molli. E’ una mossa della disperazione messa in atto grazie alla residua credibilità della vecchia guardia della governance bancaria italiana che oggi raschia il fondo del barile finanziario nazionale per provare a sostenere le crisi più urgenti e acute”. Un giudizio netto, condiviso da molti nell’ambito della comunità finanziaria. Secondo Carnevale Maffè ci sono diversi punti da chiarire, a partire dalla struttura legale e patrimoniale del fondo, per arrivare ai profili Antitrust e alla gestione dei conflitti d’interesse, passando per la governance e l’economicità della gestione. “Altrimenti – avvisa il docente – non solo Atlante rischierà di non passare l’esame della Commissione europea e del Ssm, ma diventerà l’estremo segnale di inadeguatezza del capitalismo finanziario nazionale”.
La questione delle regole europee non è da sottovalutare: il fondo è di fatto nato al ministero del Tesoro che ha anche gentilmente provveduto a inviare alle agenzie di stampa il comunicato con cui Quaestio sgr ha annunciato il lancio di Atlante, fondo privato in cui investono però 500 milioni a testa la Cassa depositi e prestiti e la Società per la gestione delle attività (Sga), società pubblica creata negli anni ‘90 per il salvataggio del Banco di Napoli. Insomma, su 5 miliardi previsti, il 20% dei capitali è pubblico. Non solo: il premier Matteo Renzi, il ministro del Tesoro Pier Carlo Padoan, la stessa Quaestio sgr e tutti gli attori coinvolti parlano esplicitamente di un’operazione di sistema – l’unico a sostenere che non lo è, è il presidente dell’Abi Antonio Patuelli che con la sua Cassa di Ravenna sta valutando se partecipare al fondo – e la questione dei rendimenti e degli eventuali profitti per gli investitori è del tutto in secondo piano, tenuta sullo sfondo. Manca dunque la logica di mercato che dovrebbe caratterizzare un investimento privato, visto che gli interventi del fondo sono diretti a sostegno delle banche più in difficoltà e che le sofferenze verranno acquistate a prezzi ben superiori rispetto a quelli che il mercato oggi sembra disposto a riconoscere (35-40% contro il 17,6-20%).
Al di là dei sondaggi informali che pure sono stati condotti, Bruxelles potrà dare il via libera a un veicolo che investe secondo la logica appena descritta? Restando all’Italia, sorge spontanea un’altra domanda: se l’obiettivo del fondo non è il profitto ma il sostegno del sistema bancario, quale contropartita otterranno gli investitori per aver immolato sull’altare del “bene comune” tanti quattrini? Negli ambienti finanziari si dice che la risposta sarà contenuta nelle norme di riforma del diritto fallimentare e del processo civile attese per la prossima settimana. Norme che dunque andranno lette con molta attenzione. Inoltre, se l’investimento in Atlante genererà delle perdite – com’è presumibile alla luce delle poche informazioni che oggi si hanno – occorrerà anche capire chi se ne farà carico, posto che le privatissime banche così come gli altri investitori privati non rispondono a loro stessi, ma agli azionisti che potrebbero non gradire veder scaricati sulle loro spalle i costi di un’operazione di sistema. Il pensiero corre in particolare a Unicredit, dove l’amministratore delegato Federico Ghizzoni ha già i suoi problemi con la realizzazione del piano industriale e con il forte scontento dei grandi investitori che nella banca di Piazza Gae Aulenti hanno messo soldi veri. L’altro pensiero corre a Mediobanca, di cui Unicredit è il maggiore azionista, che ha scelto in autonomia di restare fuori dall’operazione Atlante. Perché?