Il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha dichiarato che non ha intenzione alcuna di dare una stretta alle intercettazioni e, tanto meno, di rispolverare la legge bavaglio, di berlusconiana memoria. Naturalmente era stato lui medesimo ad evocare il fantasma, subito dopo le dimissioni del ministro Guidi e la diffusione delle intercettazioni relative all’inchiesta di Potenza.
Magari se si fosse risparmiato quel “Brrrr..” subito dopo la nomina di quell’autentico galantuomo di Pier Camillo Davigo, alla presidenza della associazione magistrati, sarebbe stato meglio per tutti, anche per Renzi. Sia come sia, a qualche ora di distanza,il presidente del consiglio ha levato dal tavolo l’ipotesi di legge bavaglio e non saremo certo noi a lamentarci. Sarà, tuttavia, il caso di non dimenticare che, qualche mese fa, il Parlamento, a maggioranza, ha “delegato” al governo la definizione di un regolamento sulle intercettazioni.
Quello che è uscito dalla porta potrebbe rientrare dalla finestra. Eppure non ci sarebbe molto da inventare. Da tempo magistrati e giornalisti hanno proposto udienza filtro e stralcio delle intercettazioni non rilevanti, naturalmente questo richiede un potenziamento degli organici e degli strumenti a disposizione degli uffici giudiziari e questo, a maggior ragione, vale anche per la lunghezza dei processi.
Per quanto riguarda il tema della pubblicazione, basterebbe recepire il cuore delle sentenze della Corte Europea che ha più volte ribadito come l’unico requisito essenziale per giustificare la pubblicazione delle intercettazioni, comunque il cronista ne sia entrato in possesso, sia quello della “pubblico interesse e della rilevanza sociale”.
Proprio per questo, da anni, le associazioni dei giornalisti hanno invano sollecitato l’istituzione di un Giurì per la lealtà dell’informazione, capace di ripristinare in tempo reale una dignità violata e di sanzionare comportamenti da “macchina del fango”, che nulla hanno a che vedere con il “pubblico interesse” ed con il diritto dei cittadini ad essere informati.
Il Giurì consentirebbe di ottenere risposte rapide e definitive, senza dover aspettare i tempi e sopportare i costi della via giudiziaria, peraltro quasi proibitiva per il cittadino comune, quello che non può invocare scudi gerarchici o finanziari.
Se proprio il governo vuole dare una “stretta” a qualcuno o a qualcosa cominci a colpire quei malfattori che attraverso le “querele temerarie” hanno preso il vizio di minacciare i cronisti che ancora si occupano di mafia, camorra, malaffare, corruzione.
Nelle conclusioni della relazione della commissione antimafia, dedicata ai cronisti minacciati e alla libertà di informazione a rischio, votata all’unanimità dalla Camera dei deputati, si chiede un provvedimento legislativo che affronti il fenomeno e costringa il “temerario” a pagare un prezzo per le molestie arrecate all’articolo 21 della Costituzione.
Perché il governo non recepisce quelle conclusioni e non annuncia una “benefica stretta“?