Gino Gialdini, neurologo lucchese di 31 anni, dal 2013 lavora al Weill Cornell Medical College di New York grazie a una borsa di studio. "In Italia guardavo i miei colleghi che andavano avanti a partita Iva. Così non si può pensare al futuro. Allora sono partito"
La vita da ricercatore in una delle più prestigiose università degli Stati Uniti? Non è certo una passeggiata, ma almeno è una possibilità in più rispetto all’Italia. Lo sa bene Gino Gialdini, neurologo lucchese di 31 anni che dal 2013 lavora al Weill Cornell Medical College di New York con una borsa da ricercatore, ma che sogna di tornare a casa tra qualche anno. “Qui sto bene e sono sempre stato rispettato professionalmente – racconta – ma vorrei di nuovo avere fiducia nell’Italia e portare il mio contributo nel mio Paese, o in Europa, perché mi sento più italiano ed europeo che americano”.
La scelta di partire per l’America per il giovane medico è arrivata negli ultimi anni di specializzazione in Neurologia all’università di Pisa, dopo la laurea in medicina. “Non vedevo sbocchi di lavoro nel mio campo, guardavo alla situazione di miei colleghi più grandi che andavano avanti con contratti a partita Iva presso istituzioni private – continua – Un modo di vivere così però non consente di pensare al futuro”. Con un’assunzione in ospedale il guadagno netto per un neurologo è di circa 2400 euro mensili, ma i concorsi sono sempre più rari, mentre nel privato con le partite Iva a malapena si arriva ai 1600-1700 euro, se si è fortunati, senza contare che il ramo della Neurologia è poco spendibile al di fuori delle strutture pubbliche. “La questione non è soltanto economica – chiarisce Gialdini – a spaventarmi era soprattutto la mancanza di stabilità”.
L’esperienza al Weill Cornell per Gino comincia prima con la tesi di specializzazione svolta all’estero, poi una volta conclusa la scuola a Pisa, l’istituto newyorkese gli offre di proseguire la sua attività a New York con una borsa di ricerca. “All’inizio non è stato facile, ma non mi posso lamentare – racconta – La nostra formazione è molto apprezzata qui perché il livello qualitativo delle scuole di specializzazione in Italia è molto buono, quindi anche io sono stato stimato e tenuto in considerazione”.
A questo punto, una possibilità per il medico lucchese sarebbe stata quella di intraprendere la carriera di neurologo in Usa, ma i titoli italiani non sono riconosciuti e per praticare è necessaria un’abilitazione che comporterebbe ricominciare la specializzazione daccapo, buttando via tutti gli anni di studio e pratica a Pisa. “In America avere la licenza offre molte opportunità di lavoro e apre l’accesso a posizioni molto più ambite rispetto all’Europa e anche più pagate – spiega Gialdini –. Per raggiungerle però bisogna superare numerosi paletti”. Molti colleghi nel campo della medicina hanno scelto di ripartire dagli Stati Uniti, lasciandosi alle spalle la carriera italiana per rimettersi sui banchi con la specializzazione. Gino invece ha deciso di continuare con la ricerca, con la speranza, prima o poi, di svolgere la sua professione in Italia.
“Da ricercatore non metto le mani sui pazienti, ma ho la possibilità di avere ruoli di responsabilità, di essere apprezzato anche in un ambiente così competitivo. E poi, in fondi per la ricerca, l’America batte qualsiasi altro stato al mondo perché molte risorse economiche vengono devolute per la creazione di cure e farmaci. Ci sono strumentazioni all’avanguardia, si possono consultare archivi e materiali da tutto il mondo”. Tutto in America sembra essere il meglio, e i professionisti della medicina, una volta arrivati, possono guadagnare come primo stipendio anche 200mila dollari all’anno. “È anche vero che per raggiungere quel livello gli studenti americani devono indebitarsi tantissimo per pagarsi gli studi – aggiunge – si calcola che in media ogni ragazzo abbia tra i 150mila e i 250mila dollari di debito, è come se noi dovessimo fare un mutuo per comprare una casa. Però quando arrivi dopo la specializzazione, non rimani disoccupato e dal punto di vista professionale l’ambiente è molto valorizzato”.
La volontà di Gino però rimane quella di ritornare in Italia. “Io qui guadagno un po’ di più rispetto ai miei colleghi italiani, ma va tutto contestualizzato con il costo della vita in una grande metropoli. Molti italiani sono disposti a rimanere qui, a ricominciare tutto daccapo. Io invece vorrei tornare in Italia per dare il mio contributo”. La speranza è di trovare un contratto in un ospedale, oppure di rimanere nel campo della ricerca, magari presso gruppi farmaceutici che solitamente hanno più risorse rispetto alle università. E non è detto che per lui l’esperienza alla Weill Cornell possa fare la differenza, rimettendosi sul mercato italiano. “Di questo non sono certo. Sicuramente non dappertutto verrà presa in considerazione, ma se sarà valutata – conclude Gino – spero che lo sia in senso positivo”.