“Tanto poi si dimentica”. Questo, ancora oggi nell’era digitale, si dice alle donne, si dice tra donne, le più adulte alle più giovani, come si faceva centinaia di anni fa, quando si parla del dolore nel partorire una nuova vita. E, a ben guardare, non è un viatico amorevole: quando si tratta di femminile è l’abnegazione a farla da padrona. Sei nata per sopportare, perché il tuo corpo è fatto così. Quello che conta è che poi ci sono tua figlia o tuo figlio tra le braccia, e anche se non puoi sfuggire al destino della maledizione biblica (‘par la scienziatatorirai con dolore’), il premio arriva. E’ anche vero, ma se si somma al naturale dolore del travaglio (che però Sheila Kitzinger aveva studiato a lungo, capendo che una buona parte di esso è evitabile se si danno strumenti conoscitivi alle donne sul loro corpo) anche quello non naturale causato dal personale degli ospedali, allora il discorso cambia.
Cambia molto se chi dovrebbe agevolare e ascoltare i bisogni delle future madri si comporta invece come se le donne fossero un inutile, fastidioso ingombro. In quel caso si parla di abuso, di violenza ostetrica, medica, infermieristica: si apre un terribile vaso di Pandora che porta alla luce piccole, (o gigantesche), pratiche di ingiustizia verso le partorienti. Anche in Italia. In rete se ne sta parlando, e in poche settimane sono oltre 19 mila le donne che hanno contattato la pagina Facebook Basta tacere: le madri hanno voce, campagna sostenuta anche via twitter con l’hashtag #bastatacere. Pur nella virtualità del mezzo ecco un corposo diluvio emotivo di storie, testimonianze, scambi, discussioni, proposte, sostenute dal Human Rights in Childbirth in Italy, e ora si parla anche di una proposta di legge, “Norme per la tutela dei diritti della partoriente e del neonato e per la promozione del parto fisiologico” presentata dell’onorevole Adriano Zaccagnini.
Nella pagina Basta tacere si suggerisce di non fare nomi e di non indicare luoghi, ma il fatto interessante è che invece i nomi (e i cognomi) ci sono. Lucia sostiene che “le lettere che fanno più male sono proprio quelle delle ostetriche specializzande che raccontano lo scontro tra ciò che hanno studiato e ciò a cui assistono. Ma alla fine tutto finisce per tutte in un ‘dai pensa al tuo bambino adesso, e dimentica il passato’. Già, per tutte le sopravvissute, perché questo siamo”. Giulia scrive: “Sono ostetrica libera professionista di Roma e sto con. Da anni, insieme ad altre colleghe, lottiamo contro la violenza del parto. Angela incalza: ”Mi rivolgo alle donne in gravidanza… informatevi! La stessa nostra ignoranza spesso rappresenta terreno fertile per quegli operatori frustrati e disumani che, forti del momento difficile, agiscono senza tatto, delicatezza e in alcuni casi ai limiti della legalità. Parlate con altre donne che hanno partorito nell’ospedale in cui andrete voi, frequentate i corsi preparto, chiedete informazioni nei consultori, domandate se organizzano gruppi per visitare le sale travaglio e parto, rendete partecipi i vostri compagni. Tutto serve per tutelare voi e la vita che portate dentro”.
Forse sta proprio in queste ultime parole il fatto più interessante: il messaggio più rilevante, accanto alle necessarie denunce e all’eventuale legge, è che serve un maggiore empowerment da parte delle donne. Più volte, in questi anni, l’Italia è stata segnalata come uno dei paesi europei dove si abusa del cesareo (soprattutto al sud), dove si praticano interventi medici in sala parto inutili e superflui, e dove partorire a casa appare una bestemmia. Un movimento culturale di donne consapevoli che si proponga di rompere il silenzio un po’ omertoso che circonda il percorso della nascita, e che rimetta al centro (oltre a chi viene al mondo), chi la vita la dà, è una straordinaria occasione di relazione tra generazioni, di acquisizione di competenze, conoscenze antiche e moderne: un movimento capace di spostare l’attenzione dalla potente centralità della medicina (pur a volte necessaria), alla autorevole capacità del corpo materno di sapere cosa serve nel dare alla luce.