C’era la fila l’altra sera alla presentazione di Kobane Calling, il nuovo libro di Zerocalcare. La stessa fila chilometrica che si forma ogni volta che questo ragazzo incontra il suo pubblico. Io non ci sono andato perché tanto il giorno dopo mi avrebbero consegnato le copie in negozio, e certe attese notturne le ho riservate nella vita solo ai libri di Harry Potter, ma da quando ho cominciato a leggere questo reportage non mi sono mai spostato dalle sue pagine finché ne ho avute da sfogliare. E sono quasi trecento tavole…
L’autore che ha dato al quartiere di Rebibbia una notorietà che prima poteva derivare solo da evasioni di massa dall’omonimo carcere, racconta il suo viaggio da Roma Nord al Kurdistan, dalla sua ormai iconica colazione coi plumcake a quella con le lenticchie, a pochi chilometri dai vari fronti sui quali, con diverse bandiere e con opposte ragioni, si combatte la guerra con l’Isis.
Il racconto ci porta a conoscere i punti di vista di alcuni autentici testimoni di questa insensata fase storica, che oggi sentiamo più vicina per gli attentati terroristici che sono ormai entrati a fare parte delle nostre vite, e per il problema dei profughi alle frontiere europee, ma che per anni abbiamo lasciato a stagliare su uno sfondo di indifferenza, quasi fossimo di fronte all’ennesima farsa girata in green screen. E invece ecco degli esseri umani raccontati in bianco e nero, a difendere la loro umanità, e in prospettiva anche la nostra, contro la più aberrante forma di estremismo dai tempi del nazismo.
È stato bello viaggiare verso Kobane in compagnia di Zerocalcare, un autore che ha saputo riportare il fumetto al centro del villaggio, come da qualche anno siamo soliti dire a Roma, e che ha fatto fare un vero salto di qualità all’editore Bao Publishing, meritevole di avergli dato una possibilità. È stato bello e istruttivo, poetico e durissimo, perché la grande qualità di questo fumettaro sta nel fatto che, a dispetto del successo, dei soldoni o della fama, è riuscito fino ad ora a evitare di perdere la sincerità del punto di vista sulle cose che racconta. E per uno che a colpi di citazioni e tempi comici fa del racconto critico non asettico il suo punto di forza, questo non può che essere considerato un valore aggiunto.
In pratica è una voce di cui la gente sente di potersi fidare. È lì che sta la differenza che fa la differenza, nel sapere trasmettere chiaramente il proprio punto di vista, senza censure o compromessi, nella speranza di far passare un messaggio non privo di valore. E in un tempo come il nostro, in un paese dove l’opposizione è nelle mani di Crozza, dove è necessario verificare anche le notizie riportate dall’Ansa, e dove capita di morire in prigione quando sei in custodia dello Stato, una voce come quella di Zerocalcare diventa veramente una risorsa per la formazione di un’opinione pubblica consapevole.
Io forse mi sarò distratto in questi anni, avrò perso interesse verso un certo tipo di approfondimento culturale, non avrò più voglia di fare filtro nei confronti di un vizioso modo distorto di riportare le notizie (“René, chiuditi a riccio!”), ma devo ammettere che prima della lettura di Kobane Calling non avevo mai sentito parlare del Rojava, e se anche mi fosse capitato di sentirne parlare in qualche stralcio di servizio giornalistico, non ero riuscito a mettere al riparo il concetto di questa utopia così ricca di speranza, dal disordine delle informazioni inutili o faziose ricevute nel pastone propinato dai vari media.
Per chi non avesse ancora letto il reportage di Zerocalcare, il Rojava è una fetta di territorio schiacciata tra i vari confini di Iraq, Siria e Turchia nella quale chi ha scelto di recarsi abbraccia una forma di vita democratica che prevede il rispetto per ogni identità religiosa, di genere, linguistica e culturale, dove uomini e donne sono uguali di fronte alla legge, dove la pena di morte è abolita, e dove vengono garantiti diritti come la sanità, l’istruzione, il lavoro…Una roba non da poco se si pensa a come vengano raccontate le vicende di quei luoghi, dove la cultura sembra essere scomparsa, e dove l’intolleranza viene presentata come una piaga senza speranza. E invece da oggi so che esiste un’alternativa, per cui combattono persone reali, che è concretamente possibile aiutare anche solo acquistando questo fumetto. E poco importa se di fumetto si tratti, l’importante è conoscere. E ricordare che a Kobane c’è un pezzo del cuore di ognuno di noi.