È un esercito da 6,6 milioni di soldati, che però, invece di scendere in battaglia, si dedica ad aiutare il prossimo. Sono i volontari italiani, uomini, donne e ragazzi, che finita la scuola e terminato l’orario di lavoro donano un po’ del proprio tempo per intervenire laddove c’è bisogno. Nella sanità, ad esempio, nella protezione civile, in ambito culturale, oppure nel settore della solidarietà internazionale.
Dal 14 al 17 aprile si riuniranno a Lucca, in occasione del Festival italiano del volontariato, l’appuntamento annuale per fare il punto su solidarietà, assistenza sociale e terzo settore, che per l’edizione 2016 vedrà la partecipazione, tra gli altri, dei ministri Giuliano Poletti, Lavoro, Dario Franceschini, Beni culturali, Beatrice Lorenzin, Salute, e Stefania Giannini, Istruzione, dell’architetto Stefano Boeri, e dello storico dell’arte Philippe Daverio. Ma tra staffette di solidarietà, stand e incontri, filo conduttore “abitare le città invisibili”, la kermesse quest’anno sarà anche l’occasione per presentare all’Italia chi sono, di preciso, i suoi volontari. Soprattutto uomini tra i 35 e i 54 anni, cioè, residenti al centro-nord, con un diploma o una laurea in tasca, e un posto di lavoro su cui contare.
“Se esiste l’italiano medio, l’immagine caricaturale e troppo severa delle sue caratteristiche – spiega infatti la Fondazione volontariato e partecipazione – esiste anche il volontario medio, e la sua immagine è del tutto positiva. Noi abbiamo voluto raccontarla”. A disegnare l’identikit del volontario italiano è uno studio condotto proprio dalla fondazione, in collaborazione con il Banco popolare, che in vista del Festival ha esaminato i profili di migliaia di volontari e presidenti di associazioni. E analizzando i dati raccolti, emergono diversi fattori che influenzano la distribuzione dei volontari lungo la penisola: età, istruzione, ma anche condizioni lavorative e reddito.
A livello nazionale, infatti, i volontari sono circa 6,6 milioni, cioè il 12,9% della popolazione over 14, di cui 1,7 milioni iscritti a un’organizzazione o a una Onlus (3,2%), 1 milione inseriti in un’associazione religiosa, e 2,4 milioni impegnati in attività sociali a livello informale, in proprio. Il 4,2% dei volontari, poi, vive nel nord ovest dell’Italia, il 4,1% a nord est, il 3,2% al centro, mentre al sud e nelle isole abitano, rispettivamente, l’1,7% e il 2,5% dei volontari. Regioni virtuose, Veneto e Lombardia, che superano il 4,5%, mentre al primo posto in classifica c’è il Trentino Alto Adige, che arriva all’8%.
Particolarmente propense a fare volontariato sono, secondo lo studio, le persone con un alto livello di istruzione (nelle organizzazioni il 30% sono laureati), e i benestanti. Tra gli iscritti alle Onlus o alle associazioni che si occupano di solidarietà, infatti, la quota di persone con un buon reddito famigliare è più alta di quasi 15 punti rispetto alla media della popolazione: il 63,3%dei volontari, cioè, vivono in famiglie con redditi adeguati o elevati. “Ad attività extralavorative gratuite può più facilmente dedicarsi chi appartiene a famiglie agiate (5,3%) – spiega la fondazione – un po’ meno chi ha risorse economiche adeguate (4,2%), e il tasso quasi si dimezza se guardiamo chi vive in famiglie con difficoltà economiche (2,4%). Tuttavia è da notare che il tasso di partecipazione, anche nel caso di maggiore fragilità economica, non si azzera mai, ma si mantiene seppure su livelli più bassi”.
Ma anche l’avere un’occupazione stabile favorisce la solidarietà. “La quota di occupati fra i volontari è il 48,9%, di otto punti maggiore rispetto all’analoga quota presente fra la popolazione – spiega lo studio – così come i pensionati e coloro che non sono ancora entrati nel mercato del lavoro hanno più possibilità di impegnarsi: i ritirati dal lavoro sono il 23,1% dei volontari, gli studenti il 9,7%”.
Il volontariato, poi, è soprattutto appannaggio delle età adulte. Gli under 35, infatti, sono poco meno di un quarto dei volontari nelle organizzazioni di volontariato (23,9%), mentre la fascia degli adulti nella fase centrale delle responsabilità lavorative e famigliari – tra i 35 e 54 anni – rappresenta il blocco più significativo del volontariato, cioè il 39,4%.
E tra donne e uomini c’è differenza. “Il diverso ammontare di tempo libero disponibile, mediamente più basso per le donne nelle età centrali della vita, a causa del sommarsi di lavoro domestico ed extradomestico”, incide sulla disponibilità al volontariato. “Anche se – precisa Alessandro Bianchini, presidente della fondazione – quando decidono di aderire a un’organizzazione, le donne dedicano al volontariato un impegno superiore rispetto agli uomini”. Perciò, se a livello generale le donne che prestano servizio gratuitamente sono di più degli uomini, 51,8% contro il 48,2%, spesso prediligono forme di volontariato autonome, mentre nelle organizzazioni gli uomini sono più numerosi. Oltre che più rappresentati: “Solo 1 presidente di associazione su 3 è donna. Lo scettro del comando, purtroppo, continua a essere soprattutto nelle mani degli uomini”.