Un paio di occhiali sul comodino che il professore usava per leggere, alcuni documenti e il suo orologio. il professor Federico Caffè usciva di casa dalla sua abitazione di Monte Mario che divideva con il fratello, e spariva nel nulla la mattina del 15 aprile 1987, senza lasciare alcuna traccia dietro di sé. Alcuni dissero che fu un allontanamento volontario, altri che il professore sarebbe stato fatto sparire per le sue idee già scomode in una società che all’epoca stava profondamente cambiando.
Cosa è rimasto oggi del minuto professore pescarese? Non molto, e le nuove generazioni sanno ben poco dell’uomo al quale sono state intitolate le facoltà di Economia di alcune università italiane. Federico Caffè è stato l’economista più importante in Italia della seconda metà del 900. Se Calamandrei può definirsi il giurista della Costituzione, Caffè né è certamente il suo economista. Uno degli interpreti più acuti e lungimiranti del keynesismo in Italia, al quale ha dato un sostanziale contributo alla sua diffusione nel nostro Paese, e un difensore irriducibile del modello economico della Costituzione, fondato sull’economia mista ed attuato, secondo Caffè, solo in parte anche nel secondo dopoguerra. Appassionati i suoi appelli alla politica dell’epoca a non inseguire costantemente il pareggio della bilancia dei pagamenti, ma a cercare di raggiungere alti livelli di occupazione, senza i quali non era possibile l’uguaglianza sostanziale promossa dall’art. 3 della Carta. Un uomo mite e umile, che insegnava ai suoi studenti a non inseguire tendenze o mode passeggere, ma ad avere piuttosto il coraggio delle proprie idee, e soprattutto a “rimanere sempre vigili senza cedere mai agli idoli del momento, alle frasi fatte, a quelle convenzionali”. Caffè esortava i suoi studenti a esercitare sempre la loro valutazione critica e le loro capacità intellettuali.
Chi ha seguito le sue lezioni, racconta che quando camminava per i corridoi della facoltà di Economia, fosse costantemente seguito da un codazzo di studenti con i quali il professore amava intrattenersi e scambiare opinioni. I suoi allievi sono divenuti tra i più importanti economisti della società contemporanea, tra questi si ricordino Nicola Acocella, Ignazio Visco, Ezio Tarantelli, Nino Galloni e Mario Draghi che si laureò con Caffè nel 1970 con una tesi dal titolo Integrazione economica e variazione dei tassi di cambio, molto critica verso il progetto della moneta unica europea. Oggi invece il presidente della Bce ha fatto suo il teorema dell’irreversibilità dell’euro, ma gli anni e la carriera, si sa, riescono nel prodigio di convertire qualsiasi idea e teoria, anche quelle più apparentemente solide. Quello che si cerca di fare oggi, tradendo il suo pensiero, è di accostare il nome di Caffè alla retorica dell’Europa unita e del sogno europeo. Caffè era certamente un europeista, ma non era affatto un sostenitore di questa Europa. Fu tra i primi ad intuire la deriva antidemocratica che si stava percorrendo in questo processo di unificazione forzata, e tutti i rischi che essa comportava.
Scriveva il professore al riguardo: “A questi esiti, d’altra parte, non è stata estranea l’incapacità dimostrata dalla Comunità Economica Europea a dare un contributo positivo alla creazione di un sistema operante di poteri bilancianti, destinati ad evitare un assoggettamento effettivo della disgregata area economica europea rispetto alle potenze mondiali egemoni. Non può sfuggire, al di là della retorica delle parole e dei messaggi, che il futuro europeo, come configurato dalla prevaricante ed economicamente obsoleta visione teutonica, non corrisponda agli ideali che mossero la costruzione comunitaria. Questa, negli auspici, avrebbe dovuto anch’essa basarsi su rapporti di effettiva parità tra i vari membri: sulla realistica comprensione che i dislivelli di partenza dei diversi paesi non potevano non ingenerare tensioni con il procedere dell’unificazione; sulla necessità di accorgimenti adeguati, per poter avanzare di conserva ed evitare l’instaurarsi di direttori”.
Sembra di leggere qualcosa che è stato scritto ieri, e invece queste parole sono state scritte il 3 giugno 1975 in un articolo dal titolo “Dalla interdipendenza alla dipendenza?” pubblicato sul Messaggero, il quotidiano per il quale il professore ha collaborato fino al 1986. Oggi sullo stesso quotidiano non scrive più Caffè, ma Oscar Giannino, il vate dei poteri taumaturgici del libero mercato: una staffetta che descrive alla perfezione i tempi che viviamo. E’ come se la scomparsa del professore avesse segnato un’epoca. Finito il tempo del keynesismo e dell’economia della Costituzione, ha inizio quello del neoliberismo che oggi domina l’accademia e le istituzioni. Gli anni 70 preparano il terreno alle teorie neoliberiste e al ritorno delle vecchie teorie monetariste, come risposta al keynesismo del miracolo economico. Questo clima apre la strada al rampantismo economico degli anni 80, molto criticato da Caffè, e che cambia profondamente la società italiana.
L’economia mista viene soffocata, e i lineamenti della Costituzione sfregiati. Chi sognava l’economia della deflazione, ha visto il suo sogno realizzato. Caffè scriveva su questo che i “processi deflazionistici, profondamente antisociali provocano inevitabilmente l’acuirsi dei contrasti e dei conflitti tra le varie categorie produttive”. Il professore era stato in grado di vedere con molto anticipo dove si dirigevano l’Europa e l’Italia. Non una società basata sulla giustizia sociale, ma una società fondata sul dominio del più forte che piega le leggi per i propri interessi privati. L’accademia si spella le mani per celebrare questa economia della sopravvivenza, e questa odiosa retorica del sogno europeo che ha distrutto la vita a milioni di cittadini europei. Caffè non avrebbe mai applaudito questa economia, né avrebbe approvato la “germanizzazione” dell’Italia, come molto accademici fanno tuttora. C’è voglia e c’è bisogno di voci indipendenti che si levino contro questa violenza sociale, e il ricordo di Federico Caffè è quanto mai vitale soprattutto per le nuove generazioni che non hanno mai conosciuto una economia diversa da quella attuale.
Quanto ci manchi, professore.
Cesare Sacchetti
Blogger e esperto in Studi europei
Zonaeuro - 15 Aprile 2016
Economia ed Europa: c’era una volta il professor Caffè
Un paio di occhiali sul comodino che il professore usava per leggere, alcuni documenti e il suo orologio. il professor Federico Caffè usciva di casa dalla sua abitazione di Monte Mario che divideva con il fratello, e spariva nel nulla la mattina del 15 aprile 1987, senza lasciare alcuna traccia dietro di sé. Alcuni dissero che fu un allontanamento volontario, altri che il professore sarebbe stato fatto sparire per le sue idee già scomode in una società che all’epoca stava profondamente cambiando.
Chi ha seguito le sue lezioni, racconta che quando camminava per i corridoi della facoltà di Economia, fosse costantemente seguito da un codazzo di studenti con i quali il professore amava intrattenersi e scambiare opinioni. I suoi allievi sono divenuti tra i più importanti economisti della società contemporanea, tra questi si ricordino Nicola Acocella, Ignazio Visco, Ezio Tarantelli, Nino Galloni e Mario Draghi che si laureò con Caffè nel 1970 con una tesi dal titolo Integrazione economica e variazione dei tassi di cambio, molto critica verso il progetto della moneta unica europea. Oggi invece il presidente della Bce ha fatto suo il teorema dell’irreversibilità dell’euro, ma gli anni e la carriera, si sa, riescono nel prodigio di convertire qualsiasi idea e teoria, anche quelle più apparentemente solide. Quello che si cerca di fare oggi, tradendo il suo pensiero, è di accostare il nome di Caffè alla retorica dell’Europa unita e del sogno europeo. Caffè era certamente un europeista, ma non era affatto un sostenitore di questa Europa. Fu tra i primi ad intuire la deriva antidemocratica che si stava percorrendo in questo processo di unificazione forzata, e tutti i rischi che essa comportava.
Scriveva il professore al riguardo: “A questi esiti, d’altra parte, non è stata estranea l’incapacità dimostrata dalla Comunità Economica Europea a dare un contributo positivo alla creazione di un sistema operante di poteri bilancianti, destinati ad evitare un assoggettamento effettivo della disgregata area economica europea rispetto alle potenze mondiali egemoni. Non può sfuggire, al di là della retorica delle parole e dei messaggi, che il futuro europeo, come configurato dalla prevaricante ed economicamente obsoleta visione teutonica, non corrisponda agli ideali che mossero la costruzione comunitaria. Questa, negli auspici, avrebbe dovuto anch’essa basarsi su rapporti di effettiva parità tra i vari membri: sulla realistica comprensione che i dislivelli di partenza dei diversi paesi non potevano non ingenerare tensioni con il procedere dell’unificazione; sulla necessità di accorgimenti adeguati, per poter avanzare di conserva ed evitare l’instaurarsi di direttori”.
Sembra di leggere qualcosa che è stato scritto ieri, e invece queste parole sono state scritte il 3 giugno 1975 in un articolo dal titolo “Dalla interdipendenza alla dipendenza?” pubblicato sul Messaggero, il quotidiano per il quale il professore ha collaborato fino al 1986. Oggi sullo stesso quotidiano non scrive più Caffè, ma Oscar Giannino, il vate dei poteri taumaturgici del libero mercato: una staffetta che descrive alla perfezione i tempi che viviamo. E’ come se la scomparsa del professore avesse segnato un’epoca. Finito il tempo del keynesismo e dell’economia della Costituzione, ha inizio quello del neoliberismo che oggi domina l’accademia e le istituzioni. Gli anni 70 preparano il terreno alle teorie neoliberiste e al ritorno delle vecchie teorie monetariste, come risposta al keynesismo del miracolo economico. Questo clima apre la strada al rampantismo economico degli anni 80, molto criticato da Caffè, e che cambia profondamente la società italiana.
L’economia mista viene soffocata, e i lineamenti della Costituzione sfregiati. Chi sognava l’economia della deflazione, ha visto il suo sogno realizzato. Caffè scriveva su questo che i “processi deflazionistici, profondamente antisociali provocano inevitabilmente l’acuirsi dei contrasti e dei conflitti tra le varie categorie produttive”. Il professore era stato in grado di vedere con molto anticipo dove si dirigevano l’Europa e l’Italia. Non una società basata sulla giustizia sociale, ma una società fondata sul dominio del più forte che piega le leggi per i propri interessi privati. L’accademia si spella le mani per celebrare questa economia della sopravvivenza, e questa odiosa retorica del sogno europeo che ha distrutto la vita a milioni di cittadini europei. Caffè non avrebbe mai applaudito questa economia, né avrebbe approvato la “germanizzazione” dell’Italia, come molto accademici fanno tuttora. C’è voglia e c’è bisogno di voci indipendenti che si levino contro questa violenza sociale, e il ricordo di Federico Caffè è quanto mai vitale soprattutto per le nuove generazioni che non hanno mai conosciuto una economia diversa da quella attuale.
Quanto ci manchi, professore.
Articolo Precedente
Terrorismo, il Parlamento Ue approva il Pnr: i dati dei passeggeri degli aerei resteranno in un registro per 5 anni
Articolo Successivo
Bce, gettare euro con l’elicottero è meglio dei tassi d’interesse negativi
Gentile lettore, la pubblicazione dei commenti è sospesa dalle 20 alle 9, i commenti per ogni articolo saranno chiusi dopo 72 ore, il massimo di caratteri consentito per ogni messaggio è di 1.500 e ogni utente può postare al massimo 150 commenti alla settimana. Abbiamo deciso di impostare questi limiti per migliorare la qualità del dibattito. È necessario attenersi Termini e Condizioni di utilizzo del sito (in particolare punti 3 e 5): evitare gli insulti, le accuse senza fondamento e mantenersi in tema con la discussione. I commenti saranno pubblicati dopo essere stati letti e approvati, ad eccezione di quelli pubblicati dagli utenti in white list (vedere il punto 3 della nostra policy). Infine non è consentito accedere al servizio tramite account multipli. Vi preghiamo di segnalare eventuali problemi tecnici al nostro supporto tecnico La Redazione
Cronaca
Le condizioni di Papa Francesco si sono aggravate: “Crisi respiratoria e anemia, sono state necessarie trasfusioni e ossigeno”. I medici: “Prognosi riservata”
Politica
Meloni: “Ucraina combatte contro un brutale aggressore. Con Trump raggiungeremo una pace giusta”
Politica
Renzi a Miami da Trump all’evento del fondo saudita. Calenda: “Mi vergogno di averlo fatto eleggere”
Roma, 22 feb. (Adnkronos) - "Quando la libertà è a rischio, l'unica cosa che puoi fare è metterla nelle mani più sagge. Ecco perché i conservatori continuano a crescere e stanno diventando sempre più influenti nella politica europea. Ed ecco perché la sinistra è nervosa. E con la vittoria di Trump, la loro irritazione si è trasformata in isteria". Lo ha detto la premier Giorgia Meloni al Cpac.
"Non solo perché i conservatori stanno vincendo, ma perché ora i conservatori stanno collaborando a livello globale. Quando Bill Clinton e Tony Blair crearono una rete liberale di sinistra globale negli anni '90, furono definiti statisti. Oggi, quando Trump, Meloni, Milei o forse Modi parlano, vengono definiti una minaccia per la democrazia. Questo è il doppio standard della sinistra, ma ci siamo abituati. E la buona notizia è che le persone non credono più alle loro bugie".
"Nonostante tutto il fango che ci gettano addosso. I cittadini continuano a votarci semplicemente perché le persone non sono ingenue come le considera l'ultimo. Votano per noi perché difendiamo la libertà", ha ribadito.
Roma, 22 feb. (Adnkronos) - "La sinistra radicale vuole cancellare la nostra storia, minare la nostra identità, dividerci per nazionalità, per genere, per ideologia. Ma non saremo divisi perché siamo forti solo quando siamo insieme. E se l'Occidente non può esistere senza l'America, o meglio le Americhe, pensando ai tanti patrioti che lottano per la libertà in America Centrale e Meridionale, allora non può esistere nemmeno senza l'Europa". Lo ha detto la premier Giorgia Meloni al Cpac.
Roma, 22 feb. (Adnkronos) - "Il Cpac ha capito prima di molti altri che la battaglia politica e culturale per i valori conservatori non è solo una battaglia americana, è una battaglia occidentale. Perché, amici miei, credo ancora nell'Occidente non solo come spazio geografico, ma come civiltà. Una civiltà nata dalla fusione di filosofia greca, diritto romano e valori cristiani. Una civiltà costruita e difesa nei secoli attraverso il genio, l'energia e i sacrifici di molti". Lo ha detto la premier Giorgia Meloni alla conferenza dei conservatori a Washington.
"La mia domanda per voi è: questa civiltà può ancora difendere i principi e i valori che la definiscono? Può ancora essere orgogliosa di sé stessa e consapevole del suo ruolo? Penso di sì. Quindi dobbiamo dirlo forte e chiaro a coloro che attaccano l'Occidente dall'esterno e a coloro che lo sabotano dall'interno con il virus della cultura della cancellazione e dell'ideologia woke. Dobbiamo dire loro che non ci vergogneremo mai di chi siamo", ha scandito.
"Affermiamo la nostra identità. Affermiamo la nostra identità e lavoriamo per rafforzarla. Perché senza un'identità radicata, non possiamo essere di nuovo grandi", ha concluso la Meloni.
(Adnkronos) - "Il nostro governo - ha detto Meloni - sta lavorando instancabilmente per ripristinare il legittimo posto dell'Italia sulla scena internazionale. Stiamo riformando, modernizzando e rivendicando il nostro ruolo di leader globale".
"Puntiamo a costruire un'Italia che stupisca ancora una volta il mondo. Lasciate che ve lo dica, lo stiamo dimostrando. La macchina della propaganda mainstream prevedeva che un governo conservatore avrebbe isolato l'Italia, cancellandola dalla mappa del mondo, allontanando gli investitori e sopprimendo le libertà fondamentali. Si sbagliavano", ha rivendicato ancora la premier.
"La loro narrazione era falsa. La realtà è che l'Italia sta prosperando. L'occupazione è a livelli record, la nostra economia sta crescendo, la nostra politica fiscale è tornata in carreggiata e il flusso di immigrazione illegale è diminuito del 60% nell'ultimo anno. E, cosa più importante, stiamo espandendo la libertà in ogni aspetto della vita degli italiani", ha concluso.
Roma, 22 feb. (Adnkronos) - L'Italia è "una nazione con un legame profondo e indistruttibile con gli Stati Uniti. E questo legame è forgiato dalla storia e dai principi condivisi. Ed è incarnato dagli innumerevoli americani di discendenza italiana che per generazioni hanno contribuito alla prosperità dell'America". Lo ha detto la premier Giorgia Meloni al Cpac a Washington. "Quindi, a loro, permettimi di dire grazie. Grazie per essere stati ambasciatori eccezionali della passione, della creatività e del genio italiani".
Roma, 22 feb. (Adnkronos) - Standing ovation dalla platea della convention Cpac a Washington al termine dell'intervento video della premier Giorgia Meloni. Un intervento nel quale la presidente del Consiglio ha richiamato valori e temi che uniscono conservatori europei e americani, a partire dalla difesa dei confini, ribadendo la solidità del legame tra Usa e Ue. "I nostri avversari - ha detto Meloni- sperano che il presidente Trump si allontani da noi. Ma conoscendolo come un leader forte ed efficace, scommetto che coloro che sperano nelle divisioni si smentiranno".
"So che alcuni di voi potrebbero vedere l'Europa come lontana o addirittura lontana o addirittura perduta. Vi dico che non lo è. Sì, sono stati commessi degli errori. Le priorità sono state mal riposte, soprattutto a causa delle classi dominanti e dei media mainstream che hanno importato e replicato nel Vecchio Continente", ha affermato la premier.
La presidente Meloni ha fatto un passaggio sull'Ucraina ribadendo "la brutale aggressione" subito dal popolo ucraino e confidando nella collaborazione con gli Usa per raggiungere una "pace giusta e duratura" che, ha sottolineato, "può essere costruita solo con il contributo di tutti, ma soprattutto con forti leadership".
Roma, 22 feb. (Adnkronos) - Le "elite di sinistra" si sono "recentemente indignate per il discorso di JD Vance a Monaco in cui il vicepresidente ha giustamente affermato che prima di discutere di sicurezza, dobbiamo sapere cosa stiamo difendendo. Non stava parlando di tariffe o bilance commerciali su cui ognuno difenderà i propri interessi preservando la nostra amicizia". Mo ha sottolineato la premier Giorgia Meloni nel suo intervento al Cpac.
"Il vicepresidente Vance stava discutendo di identità, democrazia, libertà di parola. In breve, il ruolo storico e la missione dell'Europa. Molti hanno finto di essere indignati, invocando l'orgoglio europeo contro un americano che osa farci la predica. Ma lasciate che ve lo dica io, da persona orgogliosa di essere europea - ha detto ancora - Innanzitutto, se coloro che si sono indignati avessero mostrato lo stesso orgoglio quando l'Europa ha perso la sua autonomia strategica, legando la sua economia a regimi autocratici, o quando i confini europei e il nostro stile di vita sono stati minacciati dall'immigrazione illegale di massa, ora vivremmo in un'Europa più forte".