Era nata male e sta finendo peggio la tassa di 500 milioni di euro ai concessionari e gestori di slot, le cosiddette macchinette mangiasoldi piazzate ovunque, circa 400mila apparecchi che strabordano in bar, pizzerie, ristoranti, mense, aeroporti, stazioni, supermercati. I soggetti della filiera, cioè i 13 concessionari, i 4mila gestori sparsi in tutta Italia e la miriade di esercenti avevano criticato con intensità e argomentazioni diverse la misura decisa dal governo con la legge di Stabilità del 2015. Poi obtorto collo sembrava avessero deciso di pagare. Con il passare del tempo, però, molti hanno cambiato idea sottraendosi all’obbligo di sborsare la prima rata pari al 40 per cento degli importi dovuti entro aprile dell’altr’anno e la seconda con il restante 60 per cento entro ottobre.

Sono passati altri 6 mesi e ora nei conti dello Stato c’è un altro buco. «Mancano 160 milioni di euro», conferma il Direttore dei Giochi dell’Agenzia dei Monopoli, Roberto Fanelli, parlando con ilfattoquotidiano.it. Fanelli spiega: «Ovviamente cercheremo di recuperare quei soldi, almeno una parte, non ci sono scuse all’evasione, ma c’è da dire pure che quella norma che introduceva i 500 milioni di tassa non era proprio un esempio di nitidezza, meglio sarebbe stato il governo avesse aumentato già allora il prelievo unico erariale».

Forse è anche sulla base di questa considerazione che la legge di Stabilità di quest’anno ha abrogato la tassa secca dei 500 milioni sostituendola con un sistema più semplice e gestibile, proprio l’aumento del Prelievo erariale unico (Preu) applicabile agli apparecchi formalmente definiti «da divertimento e intrattenimento», cioè le classiche slot (le Awp) e le aggressive videolotteries (Vlt). Sulle prime il Preu sarà incrementato del 4,5 per cento, sulle seconde dello 0,5. Il buco nei conti, però, intanto resta anche perché sull’argomento c’è pendente una sentenza della Corte costituzionale. E molti gestori, memori della famosa supermulta di 95 miliardi di euro poi ridotta strada facendo dalla Corte dei conti a poche centinaia di milioni e addirittura abbonata a chi non aveva pagato nulla, preferiscono prendere tempo sicuri di sfangarla anche in questa occasione.

La quota annuale da versare all’Erario era diversa da concessionario a concessionario, calcolata in base al numero di macchinette. Lottomatica, per esempio, a cui fanno riferimento circa 80mila slot, avrebbe dovuto versare circa 97 milioni di euro, Sisal (38 mila slot) 46 milioni, Bplus (70mila slot) 84 milioni, Gamenet (38mila slot) 46 milioni e così via. A conti fatti c’è chi ha onorato quasi per intero l’impegno e chi si è sottratto per cifre notevoli.

In questo modo i danni provocati sono due. C’è innanzitutto il danno all’erario, cioè in fin dei conti a tutti i cittadini italiani. E poi c’è un danno per il settore dei giochi perché questa storia dà un colpo alla concorrenza, tra chi ha doverosamente rispettato la legge mettendo mano al portafoglio e risulta punito e chi della legge se ne frega risparmiando un bel po’ di soldi. Anche perché chi non ha pagato non ha subito alcun contraccolpo, neppure la temporanea sospensione dall’albo dei gestori.

La legge era congegnata in modo da far ricadere sui 13 concessionari l’onere del versamento. Avrebbe dovuto funzionare così: i concessionari avrebbero dovuto aprire una trattativa con la «filiera», cioè gestori e esercenti, in modo da concordare pro quota l’onere della tassa per poi raccoglierla e versarla fisicamente ai Monopoli. Ci sono stati concessionari che hanno pazientemente svolto il loro ruolo intavolando una consultazione con i gestori, altri che hanno in sostanza fatto orecchie da mercante. Ci sono stati inoltre concessionari che proponendo condizioni vessatorie per i gestori è come se li avessero implicitamente indotti a non pagare e altri che invece, pur non ricevendo dai gestori quanto pattuito, alla fine hanno anticipato all’Erario le somme dovute.

La tassa dei 500 milioni era stata fin dall’inizio osteggiata da quasi tutti i soggetti del mondo dei giochi. Contro la norma furono presentati numerosi ricorsi al Tar sia dai concessionari sia dai gestori con l’obiettivo di sospendere il pagamento o di bocciare del tutto la legge. Fu sollevata anche una questione di illegittimità costituzionale. Nel frattempo, però, non è stato mai emesso alcun provvedimento di sospensione, la legge è rimasta pienamente in vigore e quindi il pagamento era dovuto. A fine ottobre 2015 c’erano ancora circa 180 milioni da pagare, poi tra novembre e la fine dell’anno sono stati pagati altri 20 milioni. Da allora nessun altro pagamento è stato effettuato e quindi è rimasto un buco di 160 milioni di euro.

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