I diritti umani sono ovunque sotto attacco: ottimo, si rallegra il Dipartimento di Stato nel rapporto annuale presentato due giorni fa da John Kerry. “In ogni parte del pianeta assistiamo ad un’accelerazione della tendenza a chiudere gli spazi della società civile, soffocare la libertà dei media e di Internet, marginalizzare le voci dell’opposizione, e nei casi estremi, ad uccidere”. Ma la crescente violenza di regimi e di movimenti etnici o fondamentalisti è una reazione alla crescente domanda di diritti fondamentali da parte di “popolazioni di ogni cultura e area del mondo”. Paradossalmente, dimostra che libertà e democrazia sono valori sempre più attraenti.
Le conclusioni americane lasciano perplessi noi europei, che vediamo le nostre democrazie perdere progressivamente convinzione, ma altrove corrispondono ad una verità statistica. Come dimostrano ricerche demoscopiche condotte soprattutto nei Paesi musulmani, cominciano ad affacciarsi nella storia generazioni molto diverse da come le immaginiamo. Non sono affatto restie allo stato di diritto liberale e giudicano, e ci giudicano, proprio sulla base dei cosiddetti ‘nostri valori’. Quei giovani e giovanissimi sono il futuro, e un’Europa semplicemente accorta si premunirebbe di mostrarsi amichevole. Invece l’Europa volta le spalle. Preferisce replicare il passato. Perfino nelle relazioni con Paesi arabi dove tutto sta cambiando continua ad affidarsi ad un realismo sempre più irrealista, nel quale ritroviamo rassicuranti figure mitologiche (il despota ‘filo-occidentale’: al-Sisi), baratti indicibili (la nostra omertà contro le vostre commesse), categorie scivolose (‘stabilità’, ‘guerra al terrorismo’, ‘islam’), un affarismo di corto respiro. Come se non ci fossero state le ‘primavere arabe’, starter di un sommovimento destinato a sbaraccare oligarchie militari e monarchie attempate, nostri affezionati partner.
Nel Mediterraneo quest’Europa mediocre è innanzitutto la Francia di Manuel Valls. Renzi è meglio del premier francese, almeno non è ossessionato dall’islam e non ciancia di conflitti di civiltà, ma anche lui è un vecchiume che avanza, sia pure tweettando e intercalando formule magiche in inglese. I suoi slanci verso al-Sisi sono un andreottismo senza la perizia e la prudenza di Andreotti, figli di una tradizione che ci ha visto gentili con tutti. Avevamo attenuanti, il nostro scarso peso internazionale, la vulnerabilità geografica del Paese. Ma nulla ci obbligava a tollerare l’intollerabile perfino all’interno del nostro territorio. Non ci siamo scandalizzati quando i servizi segreti di Gheddafi ammazzavano dissidenti a Roma (anzi, a suo tempo li aiutammo a sventare la sollevazione di Bengasi) né quando il Mossad uccideva presunti terroristi palestinesi in Italia, e anche nel caso in cui uno dei presunti probabilmente era incolpevole (lo scrittore Wael Zuaiter, assassinato a Roma nel 1972) abbiamo rinunciato a cercare i basisti dell’omicidio, italianissimi. Abbiamo permesso al Fronte popolare di liberazione della Palestina di nascondere in casa nostra il suo arsenale, affidato in custodia ad un collettivo dell’Autonomia. Se il titolo non spettasse anche ad altri europei, potremmo dire che siamo stati la Grande Puttana del Mediterraneo. E abbiamo fatto mercimonio di diritti umani fino a ieri, vedi la nostra adesione all’outsourcing della tortura (‘renditions’, nell’eufemismo dell’amministrazione Bush) e l’incredibile l’espulsione di Alma Shalabayeva e della figlia di 6 anni, consegnate alla polizia segreta del Kazakistan in omaggio agli affari petroliferi.
Così il disinteresse della nostra politica estera per i diritti umani sembra anche l’esito di una storia di sovranità auto-limitata, l’effetto di una mutilazione volontaria molto più larga di quanto obbligassero le coercizioni esterne. Scansando le responsabilità che derivano dall’esercizio della sovranità, un ceto politico per gran parte pauroso e insicuro si è abituato a barattare dignità, onore, valori fondativi, per evitarsi guai o per ricavare vantaggi immediatamente spendibili nel circo della comunicazione politica. E l’informazione ha aiutato. Una regola universale della psicologia umana vuole che il male ci scandalizzi soltanto quando percepiamo le vittime come nostri simili. Il culturalismo dilagante nei media italiani ha costruito categorie di alieni le cui sofferenze ci lasciano insensibili. Per esempio gli arabi, perfino se cristiani. E i musulmani, ovunque. La Bosnia è un caso di scuola. Quando milizie organizzate da Belgrado e da Zagabria attaccarono Musulmani e jugoslavisti, l’Europa (con due uniche eccezioni, i Rosso-verdi tedeschi e i lib-dem britannici) finse di non capire e sperò che gli aggressori si sbrigassero ad eliminare l’unico Stato del continente con una maggioranza relativa ‘islamica’. Ignoro se l’Italia aiutasse la Serbia ad importare armi per le sue milizie, come mi lasciò capire il rappresentante diplomatico di Belgrado, Niksa Stipcevic. Ma Roma, insieme ai francesi, non fu ostile a Milosevic; e ad un anno dalla fine della guerra lo aiutò a mantenersi al potere finanziandogli la rielezione attraverso l’acquisto della Telekom-Serbija.
Dunque non può sorprendere se le reiterate dichiarazioni di stima e di amicizia rivolte da Renzi ad al-Sisi non abbiano suscitato alcun sussulto, né in parlamento né sulla stampa. Chi fosse il Maresciallo era chiaro dal 14 agosto 2013, quando i suoi cecchini abbatterono 1150 inermi in due piazze del Cairo. “Un eroe popolare”, dichiarava il console egiziano a Milano ad un intervistatore solidale. E tale sarebbe rimasto se i suoi apparati non avessero sbranato un italiano, un ragazzo che poteva essere nostro fratello, nostro figlio. Mentre all’improvviso scopriamo che migliaia di egiziani sono stati uccisi nello stesso modo, e che al-Sisi ha premiato il nostro silenzio sabotando i progetti italiani in Libia, è inevitabile domandarsi quanti altri eroi popolari nuocciano alla nostra politica estera. Solo per restare nell’area, ecco due nostri interlocutori privilegiati: l’Autorità palestinese e l’estrema destra al governo in Israele, entrambi in ottimi rapporti con al-Sisi. La prima è poco più che un gigantesco apparato poliziesco (un agente ogni sei abitanti) che pratica abitualmente la tortura, sommato ad una burocrazia predace che si arricchisce e arricchisce gli uomini d’affari ad essa collegati. Israele è una democrazia in radicale involuzione, i cui metodi con i palestinesi sono svelati da un coraggioso rapporto di Breaking the silence, associazione di ex militari. La somma di due brutalità dà come risultato un flusso di immigrati palestinesi che cercano scampo in Europa. Ciò malgrado, assicuriamo all’Anp soldi e sostegno, a Israele la nostra totale omertà. Qualcuno avrà pure la sua convenienza, ma l’Italia cosa ricava da questo remissivo accodarsi al male?