L'ascesa tra gli industriali con la battaglia contro Cosa nostra e la caduta dei compagni di viaggio, coinvolti proprio in storie di mafia. Chi è il numero due di Viale Astronomia e gli interessi nello stoccaggio del greggio
Fino ad oggi era rimasto lontano dalle inchieste giudiziarie: mentre molti dei suoi alleati finivano indagati a vario titolo dalle procure di mezza Italia, lui, Ivanhoe Lo Bello detto Ivan, l’uomo che per primo aveva incarnato la rivoluzione antimafia di Confindustria in Sicilia, era riuscito a mantenersi a distanza di sicurezza da ogni tipo di scandalo. Un primato interrotto dall’inchiesta della procura di Potenza sul petrolio in Basilicata: nel registro degli indagati degli inquirenti lucani, infatti, c’è anche il nome del vicepresidente nazionale di Confindustria, nominato nel giugno del 2015 al vertice di Unioncamere. Per Lo Bello i pm ipotizzano il reato di associazione a delinquere: ad inguaiarlo è uno dei suoi tanti amici finiti nella polvere, e cioè Gianluca Gemelli, l’indagato principale dell’inchiesta lucana. Secondo gli inquirenti, infatti, Lo Bello avrebbe fatto pressioni sul ministro Graziano Delrio per ottenere la proroga al vertice dell’Autorità portuale di Augusta di Alberto Cozzo, avvocato con master a Malta, considerato vicino al sottosegretario Giuseppe Castiglione e all’ambiente del Nuovo Centrodestra sull’isola.
La nomina di Cozzo, in verità, stava molto a cuore allo stesso Gemelli, che da tempo coltivava un sogno: creare nel porto della sua Augusta un maxi centro di stoccaggio di petrolio. È per questo motivo che il compagno dell’ex ministro Federica Guidi sarebbe arrivato a giocarsi la carta Lo Bello per intercedere con Delrio: tutto pur di mantenere l’amico Cozzo al vertice dell’Authority siciliana. Del resto i rapporti tra Gemelli e il vicepresidente di Confindustria sono ottimi da anni: originari entrambi della provincia di Siracusa, insieme hanno fondato una società, la Sga Service, in affari con l’Enel e inattiva da qualche tempo. Era stato poi lo stesso Lo Bello a spingere Gemelli ai vertici dell’associazione nazionale dei giovani di Confindustria: era lo stesso periodo in cui l’attuale numero due di viale dell’Astronomia iniziava a conquistare notorietà nazionale. Titolare della Lo Bello Fosfovit, azienda che si occupa di prodotti dietetici per bambini, dopo un decennio nel consiglio d’amministrazione del Banco di Sicilia (dove era entrato ad appena 35 anni), nel 2006 Lo Bello viene infatti eletto presidente di Confindustria in Sicilia. Un’elezione maturata sullo sfondo di una battaglia quasi inedita: bandire gli imprenditori che pagano il pizzo a Cosa nostra dall’associazione di categoria. È quella che passa alla storia come la rivoluzione antiracket degli industriali siciliani: al suo fianco ecco l’alleato di sempre, e cioè Antonello Montante, prima numero due di Confidustria sull’isola, e poi successore dello stesso Lo Bello al vertice degli imprenditori dell’isola.
Un’alleanza di ferro che inizia a scricchiolare quando lo stesso Montante finisce indagato per concorso esterno a Cosa nostra dalla procura di Caltanissetta: è solo il primo dei big di Confindustria a finire sotto inchiesta dopo una carriera trascorsa sventolando il vessillo della legalità. In un primo momento, Lo Bello si schiera dalla parte dell’alleato storico: dopo alcuni attestati di stima e solidarietà, però, tenta timidamente di allontanarsi dall’ex sodale inquisito per mafia, limitando al minimo le dichiarazioni pubbliche su fatti siciliani. Intanto l’annus horribilis dell’antimafia targata Confindustria continua: prima Salvo Ferlito si dimette da presidente dell’Ance Sicilia (l’associazione dei costruttori edili) dopo una condanna a tre anni, poi Domenico Costanzo, altro enfant prodige della legalità, finisce ai domiciliari per le tangenti negli appalti Anas, quindi scoppia il caso Siracusa, con Ivo Blandina, commissario dell’associazione degli imprenditori nella città del numero due di Confindustria, che si deve dimettere a causa di un rinvio a giudizio per truffa. A sostituirlo sarà proprio Gemelli, l’ex protetto di Lo Bello, che appena tre giorni fa, confessava a Repubblica tutto il suo fastidio per “essere stato tirato dentro a una storia di cui sono ignaro”. La procura di Potenza, evidentemente, la pensa diversamente.