“Noi siamo un paese senza memoria. Il che equivale a dire senza storia. L’Italia rimuove il suo passato prossimo, lo perde nell’oblio dell’etere televisivo, ne tiene solo i ricordi, i frammenti che potrebbero farle comodo per le sue contorsioni, le sue conversioni. Ma l’Italia è un paese circolare, gattopardesco, in cui tutto cambia per restare com’è. In cui tutto scorre per non passare davvero”.
Pier Paolo Pasolini scriveva così non molto tempo prima di morire e, come spesso accade per i suoi pensieri, queste parole sono ancora pienamente valide: questa sua riflessione, in particolare, è applicabile ad ogni aspetto della storia italiana. Venticinque anni fa ci fu, infatti, il più grave disastro ambientale del Mar Mediterraneo (e uno dei maggiori al mondo): il naufragio e successivo affondamento, nel Golfo di Genova, della superpetroliera Haven (gemella della Amoco Cadiz, affondata anch’essa un decennio prima). Nessuna piattaforma direttamente coinvolta, nessuna trivella… solo i rischi legati ad un’attività umana. Rischi che possono essere ridotti al minimo, ma mai completamente eliminati. E quando si rischia si devono valutare attentamente i benefici, in questo caso soprattutto per le generazioni umane future. Quali benefici apporterà per chi verrà dopo di noi lo sfruttamento ad interim delle magre risorse idrocarburiche (prevalentemente metano) presenti sul territorio nazionale (eccezion fatta della progenie dei pochi che ci hanno lucrato e ci lucreranno), siano esse in mare o sulla terraferma?
Usiamo la memoria, informiamoci (a chi appartengono le concessioni ora in uso nei nostri mari, e di chi sono, davvero, queste società? Chi ci guadagna sul serio? Qual è poi lo stato delle piattaforme attive? Quanto estraggono? Sono accettabilmente sicure?) e poi cerchiamo di rispondere razionalmente a questa domanda. Il tutto senza lasciarsi andare a sventurate ed estreme elucubrazioni mentali, come quella che se domenica voterò sì poi dovrò sentirmi in colpa ogni volta che accendo il gas per cucinare a causa dei lavoratori “sicuramente licenziati in tronco” o per l’inasprimento dello sfruttamento idrocarburico in aree povere del mondo, oppure al contrario se voterò no o mi asterrò (quest’ultima la scelta più codarda) avrò sulla coscienza almeno qualche centinaio di organismi marini morti ogni giorno.
Un docente del mio corso di dottorato di ricerca, amava ripetere che il pianeta alla fine vince sempre: possiamo distruggere e distruggerci, inquinare, sradicare, devastare, estinguere e così via che la Terra, alla fine, continuerà ad esserci e così la vita su di essa, la nostra specie no. Un ragionamento ineccepibile, ma il gioco vale la candela? Non sarebbe, forse, più opportuno avere memoria di ciò che è stato ed imparare dagli errori, iniziando finalmente a preferire, citando sempre Pasolini, il progresso al mero sviluppo (economico)… di pochi, per giunta?