L'incaricato dalla procura e quello nominato dalla compagnia sono indagati per aver redatto e consegnato alla procura di Potenza una falsa perizia sul centro. A leggere le carte dell’inchiesta, le istituzioni sembrano circondate. C’è chi, come Egidio Giorgio, incaricato dall’Eni di analizzare i dati delle emissioni “intratteneva rapporti lavorativi sia con Arpab che con Eni"
S’incontravano al Nuvola Rossa. È il 30 luglio 2014, viale Marconi, Pescara. L’Audi Q3 di Lorenzo Giammattei si ferma davanti a un distributore della Q8. L’uomo cammina fino al civico 178. Entra nel palazzo. È la sede dell’Arta (Agenzia regionale per la tutela dell’ambiente,ndr). Pochi minuti dopo, Giammattei torna in strada, al fianco di Giovanni Damiani. Entrano nel “Nuvola rossa”. Singolare. In quelle ore i due si stanno occupando di analizzare le emissioni che l’Eni, nel centro oli di Viggiano, emette nell’aria. Devono occuparsi anche di analizzare gli scarichi, i rifiuti che finiscono nel sottosuolo. I due non immaginano che i carabinieri del Nucleo operativo ecologico di Potenza, guidato dal capitano Luigi Vaglio, li stanno pedinando.
Giammattei e Damiani sono indagati per aver redatto e consegnato alla procura di Potenza una falsa perizia sul centro Eni di Viggiano. Più che falsa, omissiva, sospettano gli inquirenti Laura Triassi e Francesco Basentini. Damiani è il perito incaricato dalla procura. Giammattei quello nominato dall’Eni, i carabinieri scoprono che sono spesso in contatto. Intercettano decine di conversazioni e sms tra i due. “Ciao Giovanni, buongiorno”, scrive Giammattei il 5 agosto 2104, “sei in ufficio? Devo vedere una persona e poi faccio un salto da te, ti devo parlare dieci minuti…”. Il giorno prima Giammattei parla con i funzionari dell’Arta, colleghi di Damiani, per chiedere informazioni, sembra aver scoperto che la procura intende nominare dei nuovi periti: “Volevo parlare con Giovanni, se sapeva (…) praticamente hanno rifatto i prelievi (…) hanno nominato dei nuovi Ctu (…) non ho capito bene che è successo. Comunque mi sentirò con Giovanni appena è disponibile…”. La procura poco dopo affida le perizie a due nuovi luminari: Mauro Sanna e Nazzareno Santilli. A leggere le carte dell’inchiesta, le istituzioni sembrano circondate. C’è chi, come Egidio Giorgio, incaricato dall’Eni di analizzare i dati delle emissioni, in qualità di dipendente della società privata E.B.C., viene intercettato mentre dice “tanto io lavoro con voi e lavoro con l’Arpab”. In effetti, scrive il Noe, Giorgi “intratteneva rapporti lavorativi sia con Arpab che con Eni. Lo stesso aveva accesso ai dati in possesso di Arpab, attinenti al monitoraggio sulla qualità dell’aria”.
La classificazione ai predetti reflui – chiede la procura – è conforme alla normativa? La risposta di Sanna è “negativa”. La gestione di tali reflui – chiede la procura – avviene in modo conforme a quanto disposto dai provvedimenti autorizzativi (AIA)? La risposta è negativa. “La miscelazione dei rifiuti – scrive il perito – è stata svolta senza che siano state individuate le condizioni previste dalla legge e senza che queste abbiano avuto validazione espressa nel Rapporto Istruttorio e quindi nell’AIA”. È una situazione drammatica. Che porta la procura a sequestrare due vasche e il pozzo di reiniezione di Montemurro. Sequestro che ieri, il tribunale del Riesame, ha confermato. L’Eni ha annunciato che “il centro oli – dove fino al 31 marzo scorso venivano trattati 75 mila barili di petrolio al giorno – sarà fermato in attesa dell’esito del ricorso in Cassazione”.
Infine, una postilla. Ecco come si comporta l’Eni con i suoi cinque dirigenti agli arresti domiciliari. “Gentile dottore…”, scrive la società “l’Eni è venuta a sapere del suo stato di arresto domiciliare dovuto a un suo presunto coinvolgimento in fatti penali. La società ravvisa l’opportunità di esonerarla temporaneamente e cautelativamente dalla sua attività”. E fin qui tutto normale. Se non fosse per un dettaglio: “La retribuzione prevista continuerà a esserle erogata”. Ah, beh.
(vignetta di Emanuele Fucecchi)