Forse in ritardo, forse no… Il dibattito sulla partecipazione al referendum non è chiuso: vale per ogni altro referendum e per ogni altra votazione. Proviamo a uscire un po’ dalla logica del votare sì o votare no; del trivelle contro rinnovabili, che poi non è l’oggetto del quesito, se non in via del tutto simbolica. È dalla fine del governo Berlusconi del 2011 che la società civile lamenta una asserita avversione al voto da parte delle istituzioni politiche, del Quirinale e dell’attuale governo. A ragione o a torto.
Una società civile che si rispetti e che si voglia veramente definire tale, e non elevarsi occasionalmente a culla di democrazia, ha il dovere morale, oltre che il diritto costituzionale e dovere civico, di votare. Almeno per coerenza. Governo Monti: nominato dall’allora Presidente della Repubblica, così come i successivi governi Letta e Renzi. E ad ogni nomina è seguita la polemica del mancato coinvolgimento del popolo sovrano. A torto o a ragione.
Una società civile attenta, veramente civile e consapevole raccoglierebbe il messaggio del premier: non quello di rimanere a casa perché l’astensione è legittima, ma quello di qualche giorno prima con il quale venivano attaccate le opposizioni assenti dal dibattito parlamentare sulla riforma costituzionale. “Non si fugge dal confronto”, non è politica, non è democrazia fuggire dal confronto.
Una società civile che vuole partecipare, nel vero senso della parola, cioè farsi parte di una decisione, dovrà andare a votare per non lasciare la scelta agli altri ma poi recriminare sul risultato.
Perché bisogna prendere posizione.Una società civile, politica, popolare e democratica, infine, dovrà andare a votare, a favore o contro, in questa o nelle prossime consultazioni perché altrimenti ogni futura protesta di mancate elezioni, di scelte prive della partecipazione popolare, sarà solo pretestuosa, non credibile, vuota.