L’art. 48 della Costituzione così recita: “Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età. Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico”. L’art. 48 quindi non fa nessuna distinzione sulle tipologie di voto: il voto è un diritto politico, ma anche un dovere civico. Per questo si parla di diritto-dovere.

Quindi, non andando a votare, si viola la Costituzione in uno dei suoi passaggi principali. Questo anche se la violazione è ovviamente priva di conseguenze. Del resto, non è un caso che il Presidente della Corte Costituzionale si sia espresso nei giorni scorsi a favore della partecipazione al voto.

Questa mi pare la prima e più doverosa considerazione che si deve fare sulla giornata di domenica 17 aprile, in cui appunto noi cittadini italiani siamo chiamati a votare.

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Ciò detto, appare (relativamente) stupefacente che uno che è stato garante della Costituzione come l’ex Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano si lasci andare ad una considerazione di tal fatta: “Non andare a votare è un modo di esprimersi sull’inconsistenza dell’iniziativa referendaria“. Oltretutto in contrasto con ciò che pensava del voto referendario quando era ancora al Colle.

Ma del resto la voce di Napolitano non fa che aggiungersi al coro della maggioranza del Pd, con Renzi in prima fila, che auspica che domenica vinca il partito dell’astensione. Del resto, non può che leggersi in questa ottica la puerile manovra di scindere la consultazione referendaria dalle elezioni amministrative. Il Presidente del Consiglio l’ha fatto senza neanche ritenere doveroso spiegare agli italiani il perché del buttare dalla finestra trecento milioni di euro. Certo, era dura spiegare  i legami tra l’esecutivo e le compagnie petrolifere, legame del resto apparso poi ancor più evidente con l’emergere della brutta faccenda di Tempa Rossa.

Venendo poi al merito, aggiungerei solo che essenziale e convincente è stato l’intervento di Sylos Labini da queste pagine: “Il 17 aprile si vota per chiudere gli impianti alla scadenza delle concessioni com’è normale che avvenga. Infatti, prolungare per legge un contratto tra pubblico e privato è un favore immotivato (alle società petrolifere) poiché si crea un monopolio senza scadenza, falsando il mercato, e perché sarà il concessionario a decidere di fatto quando finirà la “vita utile” del giacimento…Poiché si tratta di beni comuni, che appartengono a tutti i cittadini di oggi e, soprattutto di domani, il quesito referendario è puramente politico e niente affatto tecnico.”

Ciò detto, è altresì evidente che nel referendum è insito anche un invito implicito a produrre con energie rinnovabili. E qui mi fermo. Da aderente alla decrescita non posso che auspicare una società in cui si produca sì senza consumare le risorse, ma anche e solo ciò che è davvero essenziale per la vita.

Per domenica invece auspico solo la partecipazione popolare.

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