Cronaca

Roma, scure di Tronca contro storica sede Pd: “Prefetto caccia presidio di democrazia”

Hanno perso il ricorso al Tar quindi lo sfratto è certo. I militanti del circolo Pd di via Giubbonari nel centro di Roma dovranno fare i bagagli e lasciare la sede storica del Pci dal 1946. Il clima è teso. E’ forse una delle ultime assemblee in questo luogo sacro per i dem. “Non c’entriamo nulla con affittopoli, l’affitto e il debito di 180mila euro non sono la causa dello sgombero, non abbiamo una concessione regolare“, ci tengono a specificare. “Noi risultiamo occupanti abusivi da settant’anni, non abbiamo titolo per stare qui, stiamo raccogliendo i fondi con le sottoscrizioni e pagheremo gli arretrati, ma ci cacciano lo stesso, anche se pagassimo un affitto più alto al mese”, spiega Giulia Urso, segretaria del circolo. “C’è stata una sottovalutazione da parte nostra, ma anche l’amministrazione è inadempiente, c’è il dolo del Comune”, aggiunge. Il commissario Paolo Tronca ha dato attuazione a una delibera della scorsa giunta che prevede l’esproprio dei beni comunali e la successiva messa a bando. A farne le spese, tra gli altri, la sede di un’associazone che si occupa di Sla e la palestra popolare San Lorenzo, dell’omonimo rione. “Vogliamo solo fare cassa? Che città abbiamo in mente? Questo è un presidio della democrazia, siamo importanti come la sede dei malati, anche se in modo diverso”, replica la Urso. Non ci sarà però nessuna forma di resistenza o protesta, anche se il 24 aprile il circolo apre le porte a tutti gli sfrattati per un think tank su Roma. Qualcuno gongola e considera più che legittimo lo sfratto, ma nei dintorni di Campo dei Fiori c’è anche chi non si rallegra: “Lo chiudi e che ci fai? Lo dai ai cinesi? E’ un luogo storico“. “Forse è impopolare manifestare a favore, ma mi rattrista come vedere a Botteghe Oscure un supermercato Pam”, afferma una signora. “Se ci fosse una croce non la toccherebbero, ma c’è la falce e martello”, chiosa un signore comunista che frequenta il circolo senza mai aver avuto la tessera del Pd in tasca  di Irene Buscemi