Per essere un referendum abrogativo nell’Italia del ventunesimo è andato bene. Il problema è che non ci eravamo abbastanza resi conto che il quorum era ed è una illusione. Siamo stati abbagliati dall’eccezionale risultato del 2011 su acqua e nucleare, e non ci siamo resi conto (almeno, parlo per me) che mediamente gli altri referendum precedenti oscillavano tra il 23 e il 25% di partecipazione pur su temi abbastanza evidenti come l’articolo 18 o la procreazione assistita. Raggiungere il quorum quando ormai il 25% del corpo elettorale (anche di più se si considerano gli italiani all’estero) è strutturalmente e stabilmente astensionista è praticamente impossibile.
Lo si può raggiungere se la grande maggioranza è d’accordo e se la campagna è attiva e chiara da tempo. Condizioni che non c’erano, questo referendum come è noto è nato da un contrasto tra le regioni e il governo, più che da comitati attivisti. Non concordo con chi considera tecnicistico o poco rilevante il quesito: in sostanza si trattava di decidere se vogliamo o no impegnarci davvero nella transizione energetica. Se riteniamo o no prioritario avviare l’uscita dall’era dei fossili. Come ha detto uno studente 24 enne, convinto sostenitore del Sì, se ci vogliamo mettere 20 o 40 anni a uscire dal petrolio. Ovviamente lui, guardando al futuro, era per il Sì, per una transizione breve. (Non so ancora le statistiche, ma credo che stavolta l’astensionismo giovanile sia stato un po’ inferiore a quello anziano).
Forse per molti non era questa la posta in gioco, e hanno prevalso altri ragionamenti. Forse la campagna del Sì non è stata abbastanza chiara su petrolio, fossili, transizione, clima. Ma secondo me – forse lo dico a istinto dei sentimenti più che da indizi dei dati- nella sostanza il conflitto sui fossili c’è stato. Un po’ coperto un po’ ammantato da pseudo considerazioni sull’autonomia energetica nazionale. Ma non neghiamolo: milioni di nostri concittadini preferirebbero sfruttare i fossili fino all’ultima goccia. Pensano così di vivere più comodamente. Esiste un antiambientalismo, una verdofobia. Non esiste solo il politicamente corretto di ecologia coerente o posticcia. Ci sono milioni di persone offese o irritate o infastidite dall’ambientalismo (come magari lo sono dai vincoli e dalle regole in genere?) Naturalmente non lo dicono così, dicono che contrastano i fondamentalismi o le irragionevolezze.
Ma questo sentimento esiste, ed è esistito anche in questo referendum. Nel caso del nucleare abbiamo vinto perché prevaleva la paura dell’incidente,le trivelle non fanno così paura. La vera domanda da porsi è : cosa sarebbe accaduto se lo stesso quesito fosse stato sottoposto a un referendum senza quorum? Non lo so. Ci sono stati sondaggi in questo senso? Di certo in un referendum col quorum i No non avrebbero vinto, perché ormai siamo abituati a respingere una abrogazione referendaria astenendoci dal voto. Se si fosse trattato di un referendum senza quorum , in cui gli astenuti non contano, credo che ci sarebbe stato un contrasto molto aspro e un esito incerto. Forse avrebbero vinto i Sì perché a un pareggio sostanziale sul merito si sarebbe aggiunto qualche voto “antigovernativo” più di quelli “filogovernativi”. In ogni caso, stante che le trivelle incidono direttamente su una popolazione assai limitata, il risultato è stato notevole. Togli un paio di milioni ( forse, ma direi meno ) di voti dettati da puro anti-renzismo, undici milioni di ambientalisti sono una buona base per i conflitti e le transizioni che ci attendono.