Sigilli a beni per 215 milioni di euro. La Guardia di Finanza di Reggio Calabria ha sequestrato l’impero di Alfonso Annunziata, ritenuto il braccio finanziario della cosca Piromalli di Gioia Tauro: 4 imprese, 2 società di capitali, 85 immobili, 42 rapporti finanziari e 700mila euro in contanti.
Il provvedimento della sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Reggio è stato eseguito su richiesta della Direzione distrettuale antimafia e ha interessato anche il parco commerciale “L’Annunziata” che si trova nei pressi dello svincolo di Gioia Tauro dell’A3 e che, secondo gli inquirenti, era in mano alla ‘ndrangheta.
L’operazione, condotta dai finanzieri guidati dai colonnelli Alessandro Barbera e Luca Cioffi, è il seguito dell’inchiesta “Bucefalo” che aveva portato il 15 marzo 2015 all’arresto di Alfonso Annunziata, oggi sotto processo davanti al Tribunale di Palmi con l’accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso.
Secondo gli inquirenti, infatti, Annunziata non era il classico imprenditore vittima delle cosche. Piuttosto “un soggetto storicamente legato ai componenti di vertice della famiglia Piromalli”. Da don Peppino Piromalli (classe 1921) a Pino Piromalli (classe 1945), negli ultimi decenni tutti i boss avrebbero fatto riferimento ad Alfonso Annunziata come il “cuore imprenditoriale” della famiglia mafiosa di Gioia Tauro. Per questo motivo, per la Dda, l’imprenditore è un “soggetto intraneo che si presta da oltre venti anni, volontariamente e consapevolmente, al perseguimento degli scopi imprenditoriali ed economici della cosca, così creando e sviluppando, nel tempo, solide cointeressenze economiche, accompagnate da ingenti investimenti commerciali nel territorio di Gioia Tauro”.
Annunziata, inoltre, avrebbe svolto il ruolo di “garante ambientale” per gli imprenditori che operavano all’interno del suo centro commerciale e che si rivolgevano a lui consapevoli delle sue entrature con i Piromalli. Nel corso delle indagini, infine, la Finanza è riuscita a ricostruire l’intero patrimonio dell’indagato e della sua famiglia accertando una netta sproporzione con i redditi dichiarati e le attività economiche svolte. Questo ha consentito ai magistrati di ritenere l’impero di Annunziata frutto dei proventi di attività illecite.