Secondo il dodicesimo rapporto annuale dell'associazione Antigone, diminuiscono i carcerati ma la situazione del sistema penitenziario non migliora. Lo Stato spende per ogni persona 140 euro al giorno, tre volte la Spagna. Diritto all'affettività solo parzialmente garantito. Tra le buone notizie: riduzione percentuale suicidi
Ci sono quasi 14mila e 800 detenuti in meno rispetto al 2010, eppure il ritratto delle carceri italiane è tutt’altro che confortante. Perché nei primi mesi del 2016 i numeri dei reclusi sono tornati a crescere, e con loro il tasso di sovraffollamento che oggi raggiunge il 108%. Basta pensare che sono 3950 le persone senza un posto letto, mentre altre 9mila hanno meno di 4 metri quadri a testa. Uno spazio talmente piccolo da non rispettare nemmeno gli standard minimi previsti dal Consiglio d’Europa, ma allo stesso tempo costosissimo, visto che per ogni detenuto lo Stato spende più di 140 euro al giorno. Quasi tre volte quello che paga la Spagna.
A scattare la fotografia delle nostre prigioni è l’associazione Antigone, che ha presentato il suo dodicesimo rapporto annuale “Galere d’Italia”. Dentro ci sono dati che vanno letti andando oltre le cifre, così da riuscire ad avere un’idea dello stato di salute del nostro sistema penitenziario e capire chi vive oggi dietro le sbarre ma soprattutto come. Le condizioni sono migliorate rispetto a sei anni fa, quando si parlava di una vera e propria emergenza: nel 2010 i detenuti erano 68mila e 258, oggi invece si fermano a 53mila e 495 (dato che si riferisce al 31 marzo 2016). Non si può esultare, però, perché negli ultimi tre mesi il numero dei detenuti è tornato a crescere, aumentando di 1331 unità. E l’associazione teme che i progressi fatti fino a oggi possano svanire in fretta di fronte a questa inversione di rotta.
Per quanto riguarda il sovraffollamento i numeri sono ancora preoccupanti e di certo non permettono di abbassare la guardia. I posti letto sono 49mila e 545 (e non tutti realmente disponibili), circa 4mila in meno rispetto a quelli necessari. Questo vuol dire che ci sono migliaia di persone che stanno in cella senza un posto regolare. Anche lo spazio vitale per molti reclusi, circa 9mila, è ridottissimo: meno di 4 metri quadri pro capite. Siamo ancora lontani da ciò che ci detta l’Europa. Il record negativo va all’istituto di Latina, con un tasso di sovraffollamento del 192,1%, seguito da quello di Como (183,3%), di Lodi (176%), di Brescia (175,1%) e Catania (173,9%). “Negli ultimi anni – ha commentato il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, partecipando alla presentazione del dossier di Antigone – la situazione del sovraffollamento è molto migliorata, ma bisogna tenerla sempre sotto osservazione”.
Nel rapporto si fa anche una sorta di identikit dei detenuti. Sono in maggioranza uomini: le donne sono 2mila e 198, circa 4 su 100. Una percentuale in calo rispetto al passato, e più bassa di almeno un punto e mezzo rispetto al resto d’Europa. L’età media è 40 anni. Il 34,6% del totale dei detenuti, quindi più di un terzo, sono in attesa di sentenza definitiva. Dato questo molto superiore alla media europea, che invece si attesta sul 20,4%. Dell’intera popolazione carceraria, poi, il 33,45% è composto da stranieri, percentuale in calo rispetto al 2009. Si tratta in particolare di persone provenienti da Marocco, Romania, Albania, Tunisia, Nigeria ed Egitto. Mentre tra gli italiani la gran parte proviene dal sud Italia, soprattutto dalla Campania (quasi uno su cinque), seguiti dai siciliani (12%) e dai pugliesi (7,1%).
Aprendo il capitolo sul bilancio, l’associazione spiega come la spesa per le carceri sia andata aumentando fino al 2013, quando abbiamo stanziato oltre 3 miliardi di euro. “Da allora è scesa, e il bilancio preventivo per il 2015 era di 2,7 miliardi”. Più delll’80% del bilancio del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria “è assorbito dalle spese di personale, mentre le spese per i detenuti assorbono meno dell’8%”. Per ogni persona in cella lo Stato paga più di 140 euro al giorno. Un costo altissimo se si paragona a quello di un detenuto inglese, pari a 109 euro, o a quello di uno francese che supera di poco i 100 euro, o quello di uno spagnolo, inferiore ai 53 euro.
Il diritto all’affettività, viene sottolineato nelle pagine del dossier, “è solo parzialmente garantito” nonostante gli obblighi di legge. Solo 2, ad esempio, le strutture che permettono ai detenuti di fare delle telefonate via skype ai familiari. Tradotto: una percentuale di attuazione della legge pari all’1%. In 123 carceri è possibile per i familiari prenotare le visite, con una percentuale di attuazione della legge del 63,7%. In 148 si possono fare colloqui di domenica (attuazione della legge al 76,6%), mentre in 98 le visite sono sei giorni a settimana (attuazione della legge al 50,7%). In 172 istituti poi vi sono spazi, anche se non sempre sufficienti, per i bambini figli di detenuti (attuazione della legge uguale all’89,1%).
Tra le buone notizie c’è la diminuzione dei suicidi, sia tra i detenuti, sia tra gli agenti di polizia penitenziaria, sottoposti anche loro a un stress fortissimo per via delle condizioni di vita nelle carceri. Nel 2015 ci sono stati 7mila episodi di autolesionismo. Mentre 43 persone si sono tolte la vita dietro le sbarre. Significa, si legge nel report, “8,2 detenuti ogni 10mila mediamente presenti”. Nel 2009, quando i detenuti erano 15mila in più, la percentuale di suicidi fu di 9,2 detenuti, ogni 10mila mediamente presenti. “E migliora anche la vita degli agenti. Nel 2015 2 suicidi contro gli 11 del 2014. Conviene a tutti un carcere più umano”.