Per smantellare molti luoghi comuni sempreverdi sulla Cassa del Mezzogiorno (CasMez), ma soprattutto per una conoscenza puntuale e approfondita, è ora disponibile un’opera di grande interesse: “La dinamica economica del Mezzogiorno”, edita da “il Mulino”, a cura di Svimez. Quattordici capitoli, a firma di esperti e studiosi, affrontano modalità, strumenti e approcci dell’intervento straordinario del Mezzogiorno. Alcuni di essi sono davvero sorprendenti. Ho pensato di commentare, sia pur brevemente, il capitolo inerente gli interventi infrastrutturali nel periodo 1950-1965, curato da Corrado Rindone. Solo un capitolo, forse non basta per dimostrare l’importanza dell’opera. Ma i dati sono molto interessanti.
Una premessa: al momento della costituzione della CasMez, le infrastrutture civili erano considerate “precondizioni per lo sviluppo economico e sociale dell’Italia meridionale”. Il piano generale iniziato con la legge 646 del 1950, si dotava di 100 miliardi di lire all’anno per dieci anni. Fu poi esteso fino al 1965. Aveva dimensione territoriale nazionale, estendendosi fino a una parte delle Marche, Lazio e Toscana, con una dimensione temporale strategica, prevedendo azioni di lungo termine, non limitandosi al piccolo cabotaggio politico di questo o quel premier.
La Casmez gestiva risorse e competenze. Era una vera e propria “tecnostruttura” e predisponeva un piano attuativo annuale, con cui stabiliva priorità di intervento. Una rapida occhiata agli interventi realizzati in quel quindicennio: le condizioni di viabilità al 1950 erano particolarmente critiche nel Mezzogiorno. Se nel 1877 il Sud disponeva di 21351 km di strade efficienti (il Nord 89332 km), nel 1950 ne aveva 43508 km (il Nord 131614 km). Ebbene, con riferimento alla sistemazione di strade esistenti, già nel 1961, CasMez aveva portato a termine l’89,2% dei lavori pianificati. E le nuove costruzioni stradali pianificate erano complete al 73,3% nel 1962. Con benefici diretti per gli utenti della strada e in termini di incremento di valore delle proprietà servite, oltre all’incremento nella circolazione di persone e merci tra Nord e Sud. Le tabelle e le carte riportate nel testo dimostrano il rilievo degli interventi anche sul fronte ferroviario. Cito due interventi molto significativi: il raddoppio di 212 km della Battipaglia-Reggio Calabria (completo nel 1965) o l’elettrificazione della Bari-Foggia-Ancona.
Cosa successe, dopo, alla gestione degli interventi straordinari? Viene spiegato dall’autore: cambio di modello decisionale, con il passaggio da un Comitato interministeriale per il Mezzogiorno al Cipe; orizzonte temporale del piano da 15 anni a 5 anni; trasformazione della struttura leggera della CasMez in una “complessa, folta e articolata struttura ministeriale”. Con l’arrivo delle Regioni, negli anni 70, si introdussero nuovi centri decisionali locali. Il resto è storia a noi vicina e nota. Il capitolo sulle infrastrutture propone un gustoso confronto tra le politiche infrastrutturali della CasMez e quelle della Legge Obiettivo del 2001 (L. 443/2001). Due modelli di intervento statale diversi. Vengono confrontati i risultati, in termini di risorse spese, tempi e infrastrutture realizzate.
La Legge Obiettivo, che avrebbe dovuto riequilibrare lo sviluppo socioeconomico tra le varie aree del territorio nazionale, nella fase iniziale destinava il 52,2% degli investimenti al Centro-Nord e il 47,8% al Mezzogiorno. “Dell’insieme delle opere programmante nella Legge Obiettivo, dal 2001 al 2014 sono state ultimate solo l’11%. Al Sud le opere ultimate sono circa il 6% del totale programmato”. Di altro segno, invece, il primo quindicennio della CasMez, in cui “il Mezzogiorno realizza il massimo della convergenza con il resto del Paese”, con la sistemazione dell’80% delle strade provinciali, la nuova costruzione di 3000 km di strade e l’ammodernamento della maggior parte della rete ferroviaria del Mezzogiorno. Quelle infrastrutture “costituiscono tutt’oggi buona parte della dotazione infrastrutturale del Mezzogiorno”. Non bastano le risorse, come dimostrano chiaramente i numeri riportati, occorre una classe dirigente che sia capace di progettualità ad ampio respiro, competenza tecnica e capacità di controllo sull’efficacia della spesa.