Sono numeri che arrivano da “un monitoraggio” e che, secondo il ministro della Giustizia Andrea Orlando “non sono allarmanti”. Parliamo delle “persone coinvolte in un percorso di radicalizzazione” all’interno delle carceri “con diverse gradazione di adesione”, che “sono circa 360“. Orlando, pur specificando di avere “consapevolezza del rischio del proselitismo e della radicalizzazione jihadista nelle carceri”, nella conferenza stampa che ha preceduto l’apertura degli Stati Generali dell’esecuzione penale a Rebibbia, ha precisato che “il fenomeno non è comparabile con quello di altri paesi europei”.
Poi ha fatto riferimento anche a quanto dichiarato dal procuratore nazionale antimafia Franco Roberti, che aveva parlato di “500 minori nelle carceri a rischio Jihad”. E l’ha smentito. “I casi di radicalizzazione interessano anche il circuito minorile – ha proseguito Orlando – ma non è un fenomeno di massa considerato che in tutto il complesso delle carceri minorili non si arriva a 500 minori complessivamente detenuti. Quindi nessun allarme ma nessuna sottovalutazione“. Alle 360 persone già citate, quindi, secondo Orlando sono da aggiungere “meno di 10 del circuito minorile”. E anche in questo caso sono “numeri certamente non comparabili con quelli di altri paesi”. E che, fra l’altro, sono diversi da quelli diffusi a febbraio da Antigone, l’associazione che si batte per i diritti nelle carceri, che parla di 19 detenuti di fede islamica radicalizzati e ristretti in apposite sezioni di alta sicurezza e di circa 200 “attenzionati”.
Presente a Rebibbia anche il Commissario alla Giustizia dell’Unione Europea Vera Jourovà che è al lavoro “con i giganti del web come Google e Facebook” per mettere a punto entro giugno un codice di condotta per il contrasto al reclutamento, incitazione all’odio e alla violenza nella galassia radicale islamica. Dopo molti contatti, ha sottolineato Jourovà, sono stati gli stessi big della Rete “a rendersi conto di essere parte del problema” del proselitismo radicale islamico.