Rendere più “mirato” l’accesso alle prestazioni sanitarie per evitare che a pagare di più finisca per essere chi ha meno risorse. Ma anche aumentare tout court i prezzi di alcuni servizi, che “sono inferiori alle maggiori economie europee”. In parallelo, rivedere dalle fondamenta il sistema tributario per poter ridurre la pressione fiscale su famiglie e imprese. La Corte dei Conti, in audizione alle commissioni Bilancio di Camera e Senato sul Documento di economia e finanza varato dal governo l’8 aprile, torna a chiedere al governo di correre ai ripari per garantire la copertura dei costi e la disponibilità di risorse per gli investimenti nei servizi pubblici. E, come già fatto nel Rapporto 2016 sulla finanza pubblica, suggerisce di “rendere più appropriato e mirato l’accesso alle prestazioni” del Sistema sanitario pubblico, “che offre in media servizi di alta qualità” ma presenta “distorsioni evidenti”. “Non se ne può prescindere”, ha detto il presidente Raffaele Squitieri. Tradotto: bisogna ripensare i ticket differenziando maggiormente gli esborsi a seconda della condizione economica del paziente.
Padoan: “Margini per ragionare su incentivi per chi vuole andare in pensione” – Il consiglio arriva mentre l’esecutivo, come emerge dal Def, si appresta a ridurre deduzioni e detrazioni fiscali per recuperare risorse. Il ministro Pier Carlo Padoan, sempre in audizione in Parlamento, ha ribadito la cauta apertura presente nel documento sul tema della flessibilità dell’uscita dal lavoro. Il documento cita “la fattibilità di interventi volti a favorire una maggiore flessibilità nelle scelte individuali”, ma “salvaguardando la sostenibilità finanziaria“. Il titolare del Tesoro ha riconosciuto che “il Def non si addentra”, ma “ribadisce il concetto che il sistema pensionistico è uno dei pilastri della sostenibilità del sistema italiano” e “sicuramente ci sono margini per ragionare su strumenti e incentivi per migliorare le opportunità per chi vuole andare in pensione e per chi entra nel mercato del lavoro”. In particolare “sono aperto a fonti di finanziamento complementare che si possono studiare. Il Def non esclude queste cose, le rinvia al dibattito dei prossimi mesi. Le misure andranno viste nel loro insieme con la prossima legge di stabilità”. I margini però sono decisamente stretti, dato che la prossima manovra dovrà disinnescare clausole di salvaguardia per oltre 15 miliardi. Soldi da trovare prima ancora di pensare a qualsiasi altra misura. Non per niente il governo chiede la Ue di poter fare 11 miliardi di deficit aggiuntivo rispetto alle previsioni.
Corte dei Conti: “Prezzi dei servizi troppo bassi” – “I prezzi di molti servizi offerti in Italia sono inferiori alle maggiori economie europee”, ha spiegato il presidente dei magistrati contabili. “La tendenza all’aumento, per coprire i costi e garantire flussi di investimenti significativi, appare quindi un’opzione da considerare in una fase storica di difficoltà per le finanze pubbliche, anche adottando politiche di selezione delle condizioni di accesso per evitare effetti regressivi indesiderati”. Squitieri, che ha sottolineato come le previsioni sulla crescita dell’economia “non siano esenti da rischi di ulteriore revisione al ribasso”, ha aggiunto che “la prospettiva di una riduzione della pressione fiscale su famiglie e imprese (più alta che negli anni pre crisi, come ha rilevato Bankitalia, ndr) ripropone la necessità di una revisione strutturale dell’intero sistema tributario”. Tre le direzioni in cui muoversi: “Un ampliamento della base imponibile; una revisione degli obiettivi redistributivi assegnati al sistema di prelievo; la ricerca di un effettivo coordinamento della leva fiscale fra livelli di governo“.
Il titolare del Tesoro: “Consideriamo possibilità di digital tax”. Ma nel Def non c’è – Padoan ha anche detto che il governo “sta considerando” la possibilità di varare una “digital tax” sulle multinazionali del web, “una tassa complicata ma sicuramente stiamo considerando questo aspetto. E’ nell’interesse del governo”. L’ipotesi di tassare Google, Apple, Facebook e gli altri big, di cui si è discusso nel settembre 2015 quando Palazzo Chigi aveva anche preparato una bozza di decreto ad hoc e annunciato che sarebbe entrata in vigore “nel 2017”, pareva tramontata dopo le polemiche e la richiesta della Commissione Ue di attendere per non “aggravare la frammentazione del mercato digitale europeo”. Nel Def non ce n’è traccia.