Sulla partita Taranto è entrato a gamba tesa Palazzo Chigi, ma a gestire la procedura di vendita ai privati, Marcegaglia in testa, è comunque il dicastero dello Sviluppo. Che ha in mano anche 154 vertenze, con migliaia di posti di lavoro a rischio, e coordina gli incentivi alle imprese e l'accesso ai fondi di garanzia. Senza contare il decreto sul canone in bolletta che va riscritto in tempi record
“L’hanno fatta incazzare Renzi (…) poi c’è sta testa di cazzo di questo qua di Luxottica, come si chiama, Andrea Guerra… che glielo hanno messo a controllare la cosa dell’Ilva! E le stanno rompendo… ho detto ‘senti tu mollali…”. Così Gianluca Gemelli, compagno di Federica Guidi, al telefono con un amico spiegava come l’allora ministro dello Sviluppo economico mal sopportasse la scelta del premier di affidare al suo consigliere strategico per le politiche industriali la partita del siderurgico di Taranto. Un dossier delicatissimo, visto che intorno al gruppo espropriato ai Riva si coagulano gli interessi della famiglia del presidente dell’Eni, Emma Marcegaglia che con la Guidi ha condiviso ruoli apicali nella Confindustria.
Il premier aveva avocato a sé il coordinamento del caso Ilva, reso ancora più complesso dal denaro pubblico messo sul piatto (da ultimo 800 milioni di garanzia e 300 di prestito ponte). Ma, nonostante l’entrata a gamba tesa di Palazzo Chigi, la procedura di vendita avviata a gennaio è stata gestita dal ministero dello Sviluppo: è stato proprio l’ex ministro Guidi a firmare il decreto che ha avviato l’iter per la cessione degli stabilimenti Ilva. Dopo la raccolta di 29 manifestazioni di interesse, la procedura dovrebbe concludersi il 30 giugno con la scelta della società o cordata che si aggiudicherà il polo siderurgico.
Benché molto importante, la pratica Ilva è solo una delle tante in mano al dicastero che Renzi aveva assegnato alla figlia di Guidalberto Guidi. E che ora, con la poltrona vacante, hanno subìto quanto meno un rallentamento. A partire dal ddl Concorrenza, che stando al Documento di economia e finanza dovrebbe essere approvato in via definitiva dal Parlamento entro giugno ma ora è in stand by al Senato in attesa della nomina del successore della Guidi. E per l’ultimo via libera deve tornare alla Camera in terza lettura. Tanti i punti ancora molto discussi e passibili di modifiche: dalle norme sui risarcimenti dei danni non patrimoniali causati da incidenti stradali a quelle sull’ingresso di soci di capitale nelle farmacie, fino alla costituzione delle srl semplificate senza bisogno di ricorrere al notaio. In più un emendamento presentato in commissione Industria propone che nel testo sia inserita anche la normativa sulle lobby contenuta in un altro ddl che si è arenato a Palazzo Madama. Sulla scrivania del capo vacante di via Veneto è poi arrivata da poco un gatta da pelare non da poco: il Consiglio di Stato ha bocciato il decreto sul canone Rai in bolletta che a partire da luglio avrebbe dovuto portare denaro fresco nelle casse dello Stato. E così molte parti della normativa vanno riscritte, ma il tempo stringe. Nel frattempo è arrivata un’altra grana: l’annunciato ricorso dei No triv contro il ministero perché blocchi rinnovo delle concessioni petrolifere entro le 12 miglia già scadute.
Ci sono poi i dossier sui nuovi incentivi alle imprese e su quelli già in vigore ma in attesa di riforma. La Guidi teneva in particolare al piano Manifattura Italia per la transizione all’industria digitale, quella che si appoggia a tecnologia come la stampa 3D: il 7 marzo aveva annunciato che gli interventi erano in dirittura di arrivo e avrebbe voluto presentarli il 29 aprile in occasione dell’internet day. Le altre partite riguardano il tanto auspicato rilancio dei finanziamenti non bancari alle imprese che si ricapitalizzano, investono all’estero o fanno acquisizioni, la riforma del sistema di valutazione per l’accesso al fondo di garanzia per le pmi e il rafforzamento delle agevolazioni per le start up.
Sullo sfondo l’ordinaria amministrazione, per nulla secondaria: i 154 tavoli sulle crisi aziendali. Un numero che, tra casi che si risolvono e nuove urgenze che insorgono, rimane sostanzialmente invariato da anni. Nel giugno del 2015 erano sempre 154, a fine 2013 si attestavano a 159. Tra le vertenze sul tavolo le più urgenti riguardano le società di call center. Come segnalano i sindacati, nei prossimi mesi circa 8mila persone rischiano il posto di lavoro. Le vicende più calde sono quelle di Almaviva, che ha dichiarato 3mila esuberi, e Gepin Contact, a quota 350 eccedenze. In bilico anche quasi mille lavoratori della compagnia aerea Meridiana, che ha ipotizzato di ridurre gli esuberi ma solo se i sindacati firmeranno il contratto di lavoro proposto dall’azienda. Sul tavolo del Mise giace da tempo anche la vertenza Eni Versalis: il gruppo pubblico del petrolio vuole cedere al fondo americano Sk Capital la maggioranza della sua controllata nel settore della chimica e della raffinazione, che conta oltre 4mila dipendenti in Italia. Ma i sindacati si oppongono temendo ricadute occupazionali.