La marcia di 800 km, dalla provincia di Loja nella Sierra, e dal bacino amazzonico, di 250 delegati dei pueblos quichuas y saraguros, concentratisi nella capitale Quito, ha sancito il solco, forse incolmabile, tra gli indigeni ecuadoriani, e il presidente Rafael Correa. Un conflitto, iniziato con la minaccia di sfratto al Conaie (Confederación de Nacionalidades Indígenas de Ecuador, l’organo ufficiale di rappresentanza della ventina e passa di etnie andine e amazzoniche) dall’edificio concesso in comodato. Proseguito, in maniera più politica, lo scorso 1°Maggio, quando circa 50.000, tra indios e movimenti sindacali oppositori, manifestarono contro il presidente. Una sinistra più “a sinistra” del leader che ha rivoluzionato la storia del Paese, o una destra che sfrutta l’egoismo de capi indigeni, secondo le accuse dello stesso Correa?
(foto ©Flavio Bacchetta)
Ingapirca, la macchina del tempo
E’ innegabile che l’entrata in campo del nuovo presidente, nel 2007, salvò l’Ecuador da un sicuro default; strangolato dagli interessi passivi dei bond-spazzatura, eredità dei passati governi, il Paese era succube del Fmi. Correa dichiarò illegali gli strumenti di debito, il cui valore crollò, ricomprandoli poi al 35% del prezzo originale. Considerando, nella fase successiva, decaduti gli accordi con gli statunitensi, riguardo sfruttamento dei giacimenti petrolio; i nuovi contratti con la Cina, che anticipò circa 6 miliardi di dollari di royalties, permisero al governo di avere denaro fresco per programmi sociali, costruzione di alloggi, ceduti a canoni minimi ai più indigenti, e di rendere sanità e istruzione gratuite per tutti.
La riforma fiscale, decretò agevolazioni per le piccole imprese, e limite al 10% delle detrazioni per banche e finanziarie, le quali furono anche obbligate a contributi per il Bono de Desarrollo Humano, istituito per le pensioni di cittadini a basso reddito, che oggi riguardano circa due milioni di ecuadoriani. Ma la coperta non bastò per tutti; se Quito, considerata oggi la metropoli più sicura del Sud America, e tutto il crinale della Sierra, con il gioiello Cuenca sugli scudi, si sono emancipate dalla povertà e possono rivendicare un certo benessere, diversa la realtà nelle comunità periferiche; città amazzoniche, come Tena, e la provincia afro-ecuadoriana di Esmeraldas, sono quelle che soffrono maggiormente povertà e carenza di servizi. Le etnie andine più remote, sia per problemi logistici, che per resistenze culturali, faticano a tenere il passo di una nazione in crescita, e rimangono tagliate fuori.
Situazione aggravata in questi giorni, dal devastante terremoto che ha colpito proprio le città costiere di Esmeraldas, Porto Viejo, Pedernales, e Guayaquil, circa 400 vittime. Il turismo, cresciuto enormemente negli ultimi anni, foraggia i centri più famosi, ma agli altri arrivano solo briciole. Per accorgersene, basta prendere una corriera locale da Cuenca, e risalire i monti, diretti a Ingapirca, uno dei maggiori tra i siti archeologici Inca. Tolti i pullman dei turisti, qualche tram scassato e pochi cellulari obsoleti, sembra di uscire dalla macchina del tempo. I Cañari vivono in media, come nell’era precolombiana; le donne tessono con gli antichi telai e i fusi a conocchia, gli stessi di quei tempi lontani. (foto) Parlano per lo più Kichwa, con spiccato accento, tipico anche di Cuenca. La tradizione orale nell’insegnamento è privilegiata, rispetto alla scuola. L’autonomia amministrativa, difesa a spada tratta. Guide e trattorie sono quelle che fanno un po’ di soldi, approcciando i visitatori in spagnolo. Si mangia in maniera frugale, anche se la comida andina è saporita: ají de carne, ají de quesillo, y ají de zambo. E’ un frutto piccante, da cui si ricavano salse e creme, arricchite di carni e formaggi. Nelle festività, cuy (porcello) y papas, con chicha de jora (birra di mais) Ingapirca.webloc
Nel bacino amazzonico, la contesa tra indios e governo, verte su Yasunì, una biodiversità di specie unica in America, ma sfortunatamente per il pueblo Huaorani, anche riserva idrocarburi per 800 milioni di barili. Mors tua, vita mea; se il welfare in Ecuador è pagato con i proventi del petrolio, gli indios ne sono le vittime collaterali. Solo la caduta del prezzo del greggio (oggi il Brent sta sui 40 dollari al barile) potrebbe invertire la tendenza, e far sì che la riduzione delle entrate petrolifere, sia rimpiazzata da un incremento del turismo in questi paradisi naturali. Allo stato attuale, l’Ecuador incassa da tale settore oltre due miliardi l’anno, ma le cifre sono in costante aumento.
Conclusioni
Questo non è uno scontro tra un bieco gringo e un popolo sottomesso, bensì tra il politico vivente del Sud-America più riformista dai tempi di Peron (insieme a Evo Morales in Bolivia) e una fiera comunità che non desiste dai propri diritti. Una “guerra” tra “buoni”, con tutte le riserve del caso. A differenza di Morales, che è indio Aymara lui stesso, in una nazione dove più della metà sono indigeni, Correa appartiene alla parte meticcia, che costituisce la maggioranza etnica in Ecuador; qui i pueblos non raggiungono il 10%. La longa manus, dietro le proteste, di Guillermo Lasso, liberista, ex presidente del Banco de Guayaquil, strenuo oppositore del premier, è contraddetta dallo stato pietoso dei servizi urbani e sociali in cui versa la sua città natale, la più popolata del Paese, Guayaquil appunto. La metropoli contrasta, in negativo, le realtà di Quito e Cuenca, modelli di sviluppo. Gli eventi in Brasile, dove le comunità indigene sono nel mirino delle multinazionali come Vale (vedi l’arresto dei capi Tupinambá a Bahia, gli sgomberi forzati a Belo Monte, e la tragedia del Rio Doce causata dal crollo della diga) dovrebbero far riflettere i leader delle tribù ecuadoriane, prima di schierarsi in maniera definitiva.
Aggiornato da redazione alle ore 18,00 del 19 aprile 2016
Flavio Bacchetta
Reporter indipendente e fotografo
Mondo
Ecuador, la scontro tra i ‘buoni’: Correa contro una comunità che rivendica i suoi diritti
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La marcia di 800 km, dalla provincia di Loja nella Sierra, e dal bacino amazzonico, di 250 delegati dei pueblos quichuas y saraguros, concentratisi nella capitale Quito, ha sancito il solco, forse incolmabile, tra gli indigeni ecuadoriani, e il presidente Rafael Correa. Un conflitto, iniziato con la minaccia di sfratto al Conaie (Confederación de Nacionalidades Indígenas de Ecuador, l’organo ufficiale di rappresentanza della ventina e passa di etnie andine e amazzoniche) dall’edificio concesso in comodato. Proseguito, in maniera più politica, lo scorso 1°Maggio, quando circa 50.000, tra indios e movimenti sindacali oppositori, manifestarono contro il presidente. Una sinistra più “a sinistra” del leader che ha rivoluzionato la storia del Paese, o una destra che sfrutta l’egoismo de capi indigeni, secondo le accuse dello stesso Correa?
(foto ©Flavio Bacchetta)
Ingapirca, la macchina del tempo
E’ innegabile che l’entrata in campo del nuovo presidente, nel 2007, salvò l’Ecuador da un sicuro default; strangolato dagli interessi passivi dei bond-spazzatura, eredità dei passati governi, il Paese era succube del Fmi. Correa dichiarò illegali gli strumenti di debito, il cui valore crollò, ricomprandoli poi al 35% del prezzo originale. Considerando, nella fase successiva, decaduti gli accordi con gli statunitensi, riguardo sfruttamento dei giacimenti petrolio; i nuovi contratti con la Cina, che anticipò circa 6 miliardi di dollari di royalties, permisero al governo di avere denaro fresco per programmi sociali, costruzione di alloggi, ceduti a canoni minimi ai più indigenti, e di rendere sanità e istruzione gratuite per tutti.
La riforma fiscale, decretò agevolazioni per le piccole imprese, e limite al 10% delle detrazioni per banche e finanziarie, le quali furono anche obbligate a contributi per il Bono de Desarrollo Humano, istituito per le pensioni di cittadini a basso reddito, che oggi riguardano circa due milioni di ecuadoriani. Ma la coperta non bastò per tutti; se Quito, considerata oggi la metropoli più sicura del Sud America, e tutto il crinale della Sierra, con il gioiello Cuenca sugli scudi, si sono emancipate dalla povertà e possono rivendicare un certo benessere, diversa la realtà nelle comunità periferiche; città amazzoniche, come Tena, e la provincia afro-ecuadoriana di Esmeraldas, sono quelle che soffrono maggiormente povertà e carenza di servizi. Le etnie andine più remote, sia per problemi logistici, che per resistenze culturali, faticano a tenere il passo di una nazione in crescita, e rimangono tagliate fuori.
Situazione aggravata in questi giorni, dal devastante terremoto che ha colpito proprio le città costiere di Esmeraldas, Porto Viejo, Pedernales, e Guayaquil, circa 400 vittime. Il turismo, cresciuto enormemente negli ultimi anni, foraggia i centri più famosi, ma agli altri arrivano solo briciole. Per accorgersene, basta prendere una corriera locale da Cuenca, e risalire i monti, diretti a Ingapirca, uno dei maggiori tra i siti archeologici Inca. Tolti i pullman dei turisti, qualche tram scassato e pochi cellulari obsoleti, sembra di uscire dalla macchina del tempo. I Cañari vivono in media, come nell’era precolombiana; le donne tessono con gli antichi telai e i fusi a conocchia, gli stessi di quei tempi lontani. (foto) Parlano per lo più Kichwa, con spiccato accento, tipico anche di Cuenca. La tradizione orale nell’insegnamento è privilegiata, rispetto alla scuola. L’autonomia amministrativa, difesa a spada tratta. Guide e trattorie sono quelle che fanno un po’ di soldi, approcciando i visitatori in spagnolo. Si mangia in maniera frugale, anche se la comida andina è saporita: ají de carne, ají de quesillo, y ají de zambo. E’ un frutto piccante, da cui si ricavano salse e creme, arricchite di carni e formaggi. Nelle festività, cuy (porcello) y papas, con chicha de jora (birra di mais) Ingapirca.webloc
Nel bacino amazzonico, la contesa tra indios e governo, verte su Yasunì, una biodiversità di specie unica in America, ma sfortunatamente per il pueblo Huaorani, anche riserva idrocarburi per 800 milioni di barili. Mors tua, vita mea; se il welfare in Ecuador è pagato con i proventi del petrolio, gli indios ne sono le vittime collaterali. Solo la caduta del prezzo del greggio (oggi il Brent sta sui 40 dollari al barile) potrebbe invertire la tendenza, e far sì che la riduzione delle entrate petrolifere, sia rimpiazzata da un incremento del turismo in questi paradisi naturali. Allo stato attuale, l’Ecuador incassa da tale settore oltre due miliardi l’anno, ma le cifre sono in costante aumento.
Conclusioni
Questo non è uno scontro tra un bieco gringo e un popolo sottomesso, bensì tra il politico vivente del Sud-America più riformista dai tempi di Peron (insieme a Evo Morales in Bolivia) e una fiera comunità che non desiste dai propri diritti. Una “guerra” tra “buoni”, con tutte le riserve del caso. A differenza di Morales, che è indio Aymara lui stesso, in una nazione dove più della metà sono indigeni, Correa appartiene alla parte meticcia, che costituisce la maggioranza etnica in Ecuador; qui i pueblos non raggiungono il 10%. La longa manus, dietro le proteste, di Guillermo Lasso, liberista, ex presidente del Banco de Guayaquil, strenuo oppositore del premier, è contraddetta dallo stato pietoso dei servizi urbani e sociali in cui versa la sua città natale, la più popolata del Paese, Guayaquil appunto. La metropoli contrasta, in negativo, le realtà di Quito e Cuenca, modelli di sviluppo. Gli eventi in Brasile, dove le comunità indigene sono nel mirino delle multinazionali come Vale (vedi l’arresto dei capi Tupinambá a Bahia, gli sgomberi forzati a Belo Monte, e la tragedia del Rio Doce causata dal crollo della diga) dovrebbero far riflettere i leader delle tribù ecuadoriane, prima di schierarsi in maniera definitiva.
Aggiornato da redazione alle ore 18,00 del 19 aprile 2016
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Truffe a nome di Crosetto, c’è chi ha versato 1 milione di euro. Come funzionava: i militari catturati e l’Ai
Milano, 3 feb. (Adnkronos) - La Corte europea dei diritti dell'uomo (Cedu) ha dichiarato all'unanimità "irricevibile" il ricorso presentato dalla difesa di Alberto Stasi condannato, nel 2015, in via definitiva a 16 anni di carcere per l’omicidio della fidanzata Chiara Poggi uccisa il 13 agosto 2007 a Garlasco (Pavia). Stasi reclamava "una violazione del suo diritto a un processo equo, per quanto riguarda il principio della parità delle armi" lamentando che nel processo d'appello bis non sarebbe stato ascoltato un testimone "decisivo" a dire della difesa.
Per la corte, invece, la condanna si basa "su vari elementi di prova" e le dichiarazioni del teste agli inquirenti "lungi dall'essere decisive per determinare la responsabilità penale dell’interessato, sono semplicemente servite a corroborare tutte le prove a carico" si legge nella sentenza. In tal senso, l'ultima decisione della corte d'Assise d'Appello di non sentire nuovamente il testimone "non ha compromesso l'equità del procedimento penale a carico del ricorrente. Pertanto, il ricorso deve essere respinto in quanto manifestamente infondato".
La decisione potrebbe così mettere la parola fine a uno dei casi giudiziari più lunghi degli ultimi anni, mentre Stasi, oggi quarantenne, già da tempo beneficia del lavoro esterno fuori dal carcere di Bollate.
Milano, 6 feb. (Adnkronos) - Quasi un milione di euro. E' questa la cifra che un imprenditore ha versato non rendendosi conto di essere vittima di un raggiro fatto via telefono usando il nome del ministro della Difesa Guido Crosetto. L'uomo che ha denunciato l'accaduto allo stesso Crosetto (suo amico), si è poi rivolto ai carabinieri e alla procura che sta provando a bloccare il bonifico. Almeno due gli imprenditori vittime, solo una per ora la denuncia milionaria presente nel fascicolo, ma il numero delle potenziali vittime è di almeno cinque e sembra destinato a salire.
Roma, 6 feb. (Adnkronos) - 'Chi l’ha vista?'. Il Pd su Instagram prende titolo e logo della trasmissione di Rai 3 e postando la foto di Giorgia Meloni torna a chiedere alla premier di riferire in aula sul caso Almasri. "E' Giorgia Meloni a dover rispondere della vicenda Almasri al Parlamento e al Paese. Basta nascondersi".
Milano, 6 feb. (Adnkronos) - "Ci sono dei soldati prigionieri da liberare pagando un riscatto". E' questa la scusa che, in un caso, è stata utilizzata da chi, fingendosi il ministro della Difesa Guido Crosetto, ha raggirato due imprenditori, i quali hanno denunciato i fatti ai carabinieri e in procura a Milano. Altri tre imprenditori benestanti sono stati contattati dai truffatori che, complice anche l'intelligenza artificiale per camuffare le voci - del ministro, di un sedicente funzionario della Difesa o di un generale - hanno provato via telefono a ottenere ingenti bonifici. Sugli episodi indaga il pm Giovanni Tarzia.
Milano, 6 feb. (Adnkronos) - Si fingevano il ministro Guido Crosetto, oppure un generale o un sedicente funzionario del ministero della Difesa e provavano a truffare ingenti somme a degli imprenditori, cinque quelli a conoscenza dello stesso esponente di Fratelli d'Italia che ha denunciato la truffa. Due le vittime accertate, almeno tre gli altri professionisti che stavano cadendo nella rete di truffatori su cui indaga la procura di Milano guidata da Marcello Viola.
Roma, 6 feb. (Adnkronos) - "Ieri ancora una volta il governo è venuto in Parlamento e non ha detto la verità, non ha avuto il coraggio di assumersi le responsabilità delle sue scelte, si è contraddetto. Noi vogliamo sapere se per tutelare l’interesse nazionale il governo si affida anzi coopera o meglio è complice di una banda di tagliagole, di assassini, di stupratori. Io penso che questo non sia accettabile, che c’è un limite anche a quello che si definisce interesse nazionale. Mi pare del tutto normale che le opposizioni abbiano, in modo molto deciso, sottolineato le incongruenze e siano intenzionate a chiedere che ci siano risposte di verità". Lo afferma Nicola Fratoianni di Avs parlando con i cronisti davanti a Montecitorio.
"Perché è inaccettabile che alla fine - aggiunge il leader di SI - la politica si infili in una discussione surreale sui cavilli e di cui diventa vittima la realtà, e quei corpi violati da aguzzini senza scrupoli, come si può vedere anche oggi in un nuovo e terribile video diffuso da Repubblica con un uomo legato al parafango e trascinato da un mezzo di quella polizia giudiziaria libica di cui è a capo Almasri gentilmente rilasciato da Nordio e Piantedosi".
"Così come è inaccettabile l’attacco devastante del governo alla Corte Penale Internazionale: ma come si fa a non vedere che ci troviamo in un mondo in guerra nel quale senza questi organismi, anzi senza il loro rafforzamento, senza ricostruire attorno a quegli organi una sorta di sacralità, l’unico elemento che resta in campo è la legge del più forte, della violenza, della violazione sistematica dei diritti? Questo governo - conclude Fratoianni - sta creando un disastro colossale, i cui costi saranno pagati dal nostro Paese".
Roma, 6 feb. (Adnkronos) - “Il Governo ha condotto l’Italia al centro di uno scandalo internazionale, impedendo che il criminale libico venisse assicurato alla giustizia. Nordio e Piantedosi ieri si sono smentiti, Meloni è sparita. Ma non può continuare a scappare. Al di là di ogni aspetto giudiziario, deve risponderne sul piano politico, davanti al Parlamento e al Paese”. Così il democratico, Peppe Provenzano.