«Trasparenza zero». Verbali tenuti segreti. Documenti negati benchè si tratti di «atti ostensibili e pubblici» e che riguardano quello che le sezioni unite della Cassazione hanno più volte definito un «diritto soggettivo di primario rilievo costituzionale». La guerra intorno ai rimborsi elettorali si arricchisce di un nuovo capitolo, in cui la presidente della Camera, Laura Boldrini, finisce al centro delle critiche. Motivo: proprio l’esigenza di trasparenza.
In guerra contro la Camera dei deputati, organo pagatore dei rimborsi suddetti – ben 45,5 milioni per gli anni 2012 e 2013, di cui 21 milioni erogati nel gennaio scorso dopo che la cosiddetta “sanatoria Boccadutri” aveva eliminato, con effetto paradossalmente retroattivo, i «controlli preventivi» previsti dalla riforma del finanziamento pubblico ai partiti – ci sono Giulietto Chiesa e Gianni Zamperini, ex giornalista della Stampa ed ex europarlamentare Idv il primo, imprenditore il secondo. Chiesa è animatore dei “Riformatori per l’Ulivo” e Zamperini di un piccolissimo gruppo chiamato “Democratici liberali solidali”: contro l’attuale gestione dei finanziamenti ai partiti i due hanno addirittura presentato, nel novembre scorso, una denuncia per «lesione dei loro diritti essenziali di partecipazione politica».
La lesione verrebbe dalla «scandalosa erogazione di rimborsi elettorali per milioni di euro e senza alcun controllo», come spiega il loro avvocato, Francesco Paola, «in aperta violazione di tutti i principi comunitari». Questa «indebita distribuzione di finanziamenti» cristallizzerebbe il quadro politico dando concreti vantaggi economici ai partiti che ne beneficiano, danneggiando invece gli esclusi che si troverebbero a competere sull’arena elettorale in condizioni di svantaggio. Da qui il ricorso dei Riformatori e dei Democratici solidali contro Palazzo Chigi, Viminale e Camera dei deputati.
Il procedimento davanti alla III sezione civile del tribunale di Venezia è alle battute iniziali –la prima udienza è stata l’8 gennaio scorso – ma Chiesa e Zamperini vogliono esibire in aula i verbali delle due riunioni, quelle del 9 dicembre 2015 e del 21 gennaio 2016, in cui l’Ufficio di presidenza della Camera ha dato il via libera al pagamento dei rimborsi. E questo nonostante l’opposizione messa a verbale dai tre membri Cinque Stelle, Luigi Di Maio, Riccardo Fraccaro e Claudia Mannino:
«Qualunque cosa noi dicessimo o obiettassimo gli altri partiti facevano muro, insistendo per procedere al pagamento», aveva spiegato all’epoca Fraccaro a ilFattoquotidiano.it, puntando il dito sull’illegittimità e sull’incostituzionalità delle erogazioni approvate.
L’accesso a quei verbali scottanti è stato ufficialmente chiesto da Chiesa alla Camera in gennaio. Nessuna risposta. Richiesta ripetuta a febbraio. Tutti zitti. Altri due mesi sono passati e non solo da Montecitorio non sono arrivati i documenti desiderati, ma la presidente Laura Boldrini non ha fornito neanche una spiegazione del perché siano stati negati: «Silenzio totale». Eppure «si tratta di atti assolutamente pubblici che dovrebbero essere accessibili a tutti proprio per lo speciale dovere di trasparenza che deve accompagnare l’erogazione dei fondi elettorali. Questi soldi sono destinati a garantire la partecipazione democratica dei cittadini alla vita politica del paese e non possono essere erogati senza nessun controllo, favorendo alcuni partiti e mettendone altri in difficoltà», spiega l’avvocato Paola. Che già il 9 novembre aveva consegnato a Montecitorio una diffida, invitando la Camera a non procedere al pagamento e avvertendo i 21 membri dell’ufficio di presidenza che chi avrebbe votato a favore avrebbe corso un rischio penale personale: la Camera qui infatti agisce in quanto semplice organo pagatore e «in questo ruolo nessuno gode di immunità».
Il verbale con l’elenco dei voti a favore è quindi potenzialmente l’elenco di coloro che potrebbero essere chiamati a risponderne in tribunale. Dell’ufficio di presidenza, oltre ai citati Cinque Stelle, fanno parte la presidente Boldrini, i vice Marina Sereni e Roberto Giachetti, Pd, e il Pdl Simone Baldelli, i questori Stefano Dambruoso, Scelta Civica, Paolo Fontanelli, Pd, Gregorio Fontana, Pdl. E, ancora, Anna Russomando, Margherita Miotto, Caterina Pes, Valeria Valente e Giovanni Sanga del Pd; Ferdinando Adornato e Raffaello Vignali di Ap; Manfred Schullian della Svp, Davide Caparini della Lega, Edmondo Cirielli di FdI, Gianni Melilla di Si e Roberto Capelli di Centro democratico.
Chi era presente, quel giorno? Che posizione ha preso? Cosa ha votato? E perché si è schierato per dare il disco verde al pagamento di contributi «indebiti o illegittimi» in quanto previsti da una legge «potenzialmente incostituzionale»? Nessuna risposta. Montecitorio ha preferito il silenzio.