Entra nel vivo con le prime audizioni il lavoro parlamentare sul giovane trovato cadavere nel 1999 alla caserma Gamerra di Pisa. Finora ben quattro inchieste non hanno portato a nulla. Isabella Guarino, mamma del ragazzo: "Ci impedirono di vedere il corpo", trovato in decomposizione ai piedi di una torretta. Attesa per il testimone Stefano Viberti, che al processo, secondo il procuratore Iannelli, si tirò indietro
Dopo diciassette anni, lo Stato italiano prova con una commissione parlamentare d’inchiesta a far luce sulla morte del paracadutista siracusano Emanuele Scieri, trovato senza vita nell’agosto del 1999 all’interno della caserma della Folgore ‘Gamerra’ di Pisa.
Lo scorso 4 novembre, in concomitanza con la festa delle forze armate, la Camera ha approvato la legge istitutiva formulata dai deputati siracusani del Pd Sofia Amoddio e Giuseppe Zappulla. Ora i lavori sono entrati nel vivo con le prime audizioni. “La commissione è stata chiesta a gran voce da Isabella Guarino, madre di Emanuele Scieri, dall’associazione e dal comitato ‘Verità e giustizia per Lele‘, che da anni senza sosta continuano a battersi per avere giustizia – spiega la deputata Amoddio presidente della commissione – Il nostro lavoro è diretto a scoprire i responsabili della sua morte”.
Da quell’estate a oggi, si sono susseguite quattro differenti inchieste. La prima interna alla caserma, che però non ha portato a nessun esito, poi c’è stata la condanna per ‘nonnismo’ inflitta ad alcuni caporali dalla Procura Militare di La Spezia, per vicende antecedenti alla morte di Scieri. Infine c’è stata la Procura di Pisa, che ha archiviato senza arrivare a dibattimento, due inchieste per omicidio preterintenzionale e poi colposo. “In questi anni ci siamo disperati e demoralizzati, – racconta a ilfattoquotidiano.it Isabella Guarino, madre di Scieri – quasi subito abbiamo visto che non c’era la volontà di trovare i colpevoli, né da parte dei militari né della magistratura. Siamo stati lasciati soli dalle forze dello Stato, che avrebbero dovuto aiutarci nella ricerca della verità”.
Emergono numerosi dubbi e lati oscuri dalle inchieste. A partire dall’assenza di Scieri nel corso degli appelli e contrappelli nella notte del 13 agosto, quando lo stesso parà era rientrato in caserma insieme ad altri commilitoni. Le doppie ispezioni realizzate alla ‘Gamerra’ nella giornata di ferragosto, alle 5,30 e alle 21,30, nella quale i militari confermarono di non aver trovato il siracusano. Infine il 16 agosto, quando il cadavere in stato di decomposizione è stato trovato a pochi passi dalla scala della torre di prosciugamento della caserma, un luogo ritenuto accessibile quotidianamente a tutti.
Ai familiari recatisi a Pisa all’epoca dell’accaduto, e accompagnati da un medico legale di loro fiducia, venne persino impedito di vedere il corpo. “E’ stato drammatico, inaccettabile, perdere un figlio senza avere la possibilità di riabbracciarlo, senza dargli un ultimo saluto – spiega la signora Guarino – per noi è molto importante che la commissione si sia istituita, l’avevamo già chiesta 17 anni fa, ma trovammo delle opposizioni”.
Nel corso dell’inchiesta condotta dalla Procura di Pisa, i magistrati hanno ipotizzato che Scieri sia stato “costretto a salire la scaletta, senza nessuna protezione, e con un oggetto contundente colpito ai piedi e alle mani, affinché cadesse dalla scala” alta circa dieci metri. Per questo si spiegherebbero le escoriazioni “nel dorso del piede”, e l’agonizzante morte avvenuta in seguito alle lesioni interne riportate.
Nei giorni scorsi c’è stata già la prima udienza della commissione, nel corso della quale sono stati ascoltati la madre e alcuni amici del parà. Presto saranno chiamati a deporre anche i commilitoni che erano presenti in quei giorni alla ‘Gamerra’. Tra loro anche Stefano Viberti, considerato il supertestimone, che era stato visto passeggiare insieme a Scieri la notte del 13 agosto. “Lui saprà sicuramente qualcosa – spiega Carlo Garozzo amico e componente dell’associazione ‘Verità e giustizia per Lele’ – lo stesso procuratore Enzo Iannelli, nel corso dell’inchiesta di Pisa, ha sostenuto che Viberti stava per parlare e dire qualcosa, ma poi si è ‘ripreso’, e nella sentenza lo definisce «depositario di verità non rilevate»”.
“Da madre, voglio fare un appello a chiunque possa sapere o conoscere qualcosa, – conclude Isabella Guarino – mi auguro che qualcuno possa passarsi una mano sulla coscienza, e dire cos’è successo in quei giorni nella caserma, contribuendo a far luce su quella maledetta notte in cui mio figlio ha perso la vita”.