La Penisola perde quattro posizioni rispetto allo scorso anno e scende sotto Botswana e Nicaragua perché, secondo l'indagine dell'agenzia francese, "tra i 30 e i 50 cronisti si trovano sotto protezione di polizia" e Gianluigi Nuzzi ed Emiliano Fittipaldi "rischiano otto anni di carcere per libri che rivelano i malaffari della Santa Sede". Peggio di noi, nella Ue, solo Cipro, Grecia e Bulgaria. Primo dei 180 Paesi censiti la Finlandia, ultimo l'Eritrea
Più in basso del Nicaragua, più giù della Moldavia e più ancora dell’Armenia. E’ lì che si piazza l’Italia nella classifica di Reporters sans frontières (Rsf), termometro della libertà di stampa nel mondo. La Penisola continua a perdere posizioni a ora saluta il già tutt’altro lusinghiero 73esimo posto dello scorso anno scivolando al 77esimo: peggio, all’interno dell’Unione Europea, solo Cipro, Grecia e Bulgaria. Il motivo? Pressioni, minacce e violenze subite dai cronisti. Nel motivare questa posizione nel ranking annuale, la ong con sede a Parigi fa riferimento al fatto che “a maggio 2015 il quotidiano La Repubblica ha riportato che fra 30 e 50 giornalisti sono sotto protezione di polizia perché sono stati minacciati” e aggiunge che in Vaticano “è il sistema giudiziario che attacca i media“: il riferimento è all’indagine su Gianluigi Nuzzi e Emiliano Fittipaldi per lo scandalo Vatileaks. “Due giornalisti rischiano otto anni di carcere per la pubblicazione di libri che rivelano i malaffari della Santa Sede”, si legge nel rapporto (qui la classifica).
Pure il Botswana, che perde anch’esso posizioni, si attesta comunque al 43esimo, appena sotto il Burkina Faso, surclassandoci nettamente. “Sfortunatamente – ha commentato il segretario generale di Rsf Christophe Deloirell – è chiaro che molti dei leader mondiali stanno sviluppando una forma di paranoia nel legittimare il giornalismo”. “Il livello di violenza – è dunque il giudizio generale di Rsf sulla situazione – contro i giornalisti (comprese intimidazioni verbali e fisiche, e minacce di morte) è allarmante“. La graduatoria, sottolinea ancora Rsf, rivela “l’intensità degli attacchi di Stati, ideologie e interessi privati contro l’indipendenza del giornalismo“.
Le prime cinque posizioni sono occupate da Finlandia, che mantiene il primo gradino del podio dal 2010, Olanda, in salita di tre posizioni rispetto al 2015, Norvegia, in calo di una, Danimarca, un gradino sotto lo stesso anno e Nuova Zelanda, che guadagna un posto. Tra i balzi in avanti più significativi, quello della Svizzera, che in un solo anno lascia la 20esima posizione per guadagnare la settima: non tanto per suoi meriti particolari, sottolinea Rsf, quanto piuttosto per via del preoccupante peggioramento degli altri Paesi, in un contesto che nel suo complesso si è degradato. Altra novità rilevante di questa classifica è l’aggiornamento dell’indice regionale, che vede l’Europa sopravanzare nettamente l’Africa, che a sua volta per la prima volta scavalca il continente americano.
Grandi progressi per la Tunisia e per l’Ucraina, per la relativa tregua nel conflitto. Peggiora invece la situazione in Polonia, dove un Governo ultraconservatore ha operato una stretta sui media; in Tagikistan, dove il regime ha subito una deriva autoritaria; e in Brunei, che perde 34 posizioni per l’imposizione della sharia. Gli ultimi tre ranghi restano appannaggio di Turkmenistan, Corea del Nord ed Eritrea, fanalino di coda tra i 180 Paesi censiti.