Dice l’ex senatore democratico della Florida, Bob Graham: “Ritengo non plausibile pensare che 19 persone, la maggioranza delle quali non parlavano inglese, la maggior parte delle quali non era mai stata prima negli Stati Uniti, molti dei quali privi di un’educazione superiore, possano avere portato a compimento un’operazione talmente complicata senza un qualche aiuto dall’interno degli Stati Uniti”.

Mio Dio, siamo di fronte a un collega, anche lui complottista, anche lui incline a farsi domande strampalate? Vediamo un po’ di approfondire. Si tratta di un importante senatore degli Stati Uniti d’America. Per giunta su una questione così priva di dubbi, come l’11/9, su cui, com’è noto, non è mai esistita ombra di sospetto sulla versione ufficiale, scolpita nel marmo, imperituro monumento della verità, del “9/11 Commission Report”?

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Resta il fatto che quelle parole, qui citate, sono state pronunciate in una intervista della Cbs, nel programma “Sixty Minutes”. Bob Graham matto non sembra. Oltre che senatore (democratico) è stato anche governatore della Florida. Ma soprattutto è stato presidente del “2002 Bipartisan Joint Inquiry into Intelligence Community Activities Before and After Terrorist Attack of September 11, 2001”.

Quel comitato bipartizan non è da confondersi con quello, appunto scolpito nel marmo, appena citato. Fu un altro comitato. Che lavorò per primo. Che produsse, tra le altre cose, un documentino di 28 pagine dattiloscritte nel quale – a domanda risponde sempre il nostro Bob Graham – pare ci siano diverse questioni pruriginose. Tant’è che la 9/11 Commission decise di non occuparsene del tutto. Semplicemente le ignorò. Mentre, per ordine dell’Amministrazione di George Bush Jr, le 28 pagine furono secretate “nell’interesse della sicurezza nazionale degli Stati Uniti d’America”.

E cosa ci sarebbe in quelle pagine? A domanda risponde sempre Bob Graham: a) c’era un “network di persone che aiutarono i dirottatori”; b) questi ultimi ebbero un “supporto sostanziale” da parte dell’Arabia Saudita; c) e quando l’intervistatore chiede precisazioni, del tipo: chi furono coloro che aiutarono? Forse il governo di Riyadh, forse qualche ricco miliardario, forse qualche ente caritatevole? Bob Graham risponde lapidario: “Erano di tutti e tre i tipi”.

Per giunta, se Bob Graham fosse ammattito, si dovrebbe concludere che la sua follia è diventata improvvisamente contagiosa. Infatti non è il solo. Della stessa opinione è Porter Goss, anche lui ex senatore, ma repubblicano, che ebbe la ventura di diventare anche capo della Cia, mentre emergono anche altri sostenitori delle stesse tesi, come il senatore Bob Kerrey (che fu uno degli scultori che firmarono il monumento di marmo del “9/11 Commission Report”. Insieme a lui si è pronunciato in tal senso John Lehman, ex ministro della Marina Militare Usa e anche lui membro della commissione di marmo. Infine, tra i grossi nomi dei “contagiati”, va menzionato anche Tim Roemer, ex deputato dell’Indiana, ex membro di entrambe le commissioni, “Joint” e “9/11”. Tutti costoro hanno letto le 28 pagine.

Aspettano di leggerle anche gli avvocati delle centinaia di famiglie americane che hanno sporto denuncia contro il governo dell’Arabia Saudita, ma che non possono muovere un passo, da ben quindici anni, per avere giustizia.

Del resto Ryjadh non ha aspettato con le mani in mano. E ha fatto sapere che, se quelle 28 pagine venissero de-secretate, ritirerebbe immediatamente dalle banche americane all’incirca 700 miliardi di dollari di assets. Provocando così un collasso finanziario di prima grandezza. Un buon avvocato potrebbe definire questa come una plateale minaccia, o come un ricatto. Fatto sta che il povero Obama è andato nella capitale saudita scaricando il barile e mettendolo sulle spalle dei servizi segreti americani. Saranno loro a dire se, rivelando ciò che è scritto in quelle pagine, si metterà a repentaglio la sicurezza nazionale degli Stati Uniti d’America. Io direi, più modestamente, la faccia degli Stati Uniti d’America e quella di coloro che in questi quindici anni hanno sostenuto che tutto era stato detto sull’11/9 e che null’altro sarebbe stato possibile dire per vitam aeternam.

Poiché temo che finirò, come imputato, nell’inchiesta che ilfattoquotidiano.it, per bocca del suo direttore Peter Gomez, ha promesso di fare sul mostruoso fenomeno del “complottismo”, mi permetto di insistere con alcune domande “strampalate”. Alcune, in verità, molto maligne. A me questa conversione dopo tredici e dodici anni rispettivamente non convince del tutto. Anzi per niente. C’è qualcosa che non quadra. Intanto Bob Graham ha parlato di due cose distinte. Ha detto che, per portare a compimento l’attentato del 9/11 è stato necessario qualche “aiuto dall’interno” degli Stati Uniti. Dunque ci costringe a pensare male. Ci furono gli “aiutanti” in America in quelle 28 pagine.

In secondo luogo mi viene anche un altro cattivo pensiero. Ma se il monumento di marmo non ha neanche tenuto conto di quelle 28 pagine (che contengono queste verità sconvolgenti), com’è che resiste ancora senza essersi sbriciolato sotto tali martellate? Di quale verità ci ha parlato?

Inoltre viene fuori che Bob Graham si è dimenticato anche di qualcos’altro. Per esempio che quella famosa mattina lui era , insieme a Porter Goss, a fare colazione a Washington con il signor Ahmed, capo del servizio segreto pakistano Isi (Inter Services Intelligence). In seguito emerse che il signor Ahmed aveva rifornito Mohammed Atta con un assegno di 100 mila dollari. La rivelazione venne da un giornale indiano (non dalla commissione di marmo, che comunque non ne tenne conto) e, subito dopo, il signor Ahmed si dimise alla chetichella. Non è che anche l’Isi era entrata nell’affare?

Insomma ecco la domanda strampalata: queste improvvise e ritardate confessioni non vi fanno venire in mente che siamo alla vigilia di qualche resa dei conti, che avrà due facce: una americana, dove i servizi segreti si stanno scontrando senza risparmio di colpi. E una arabo-saudita, per decidere chi sarà il prossimo servitore fedele di Washington. Sullo sfondo di 700 miliardi di verdoni.

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