Sono arrivati fino a Linz, al festival di cinema Crossing Europe, che dal 2004 scandaglia le realtà politiche e sociali in Europa. Ma nella vita di tutti i giorni quasi tutti li guardano male. Basta dire che vivi lì, all’Hotel House: un palazzone a croce di 17 piani e 480 appartamenti, periferia di Porto Recanati, in provincia di Macerata. Duemila residenti ufficiali – ma d’estate anche 4mila e più – da 40 nazioni diverse. Soprattutto senegalesi, bangladesi, maghrebini, pakistani, marocchini. Inevitabile che Matteo Salvini, in visita in città lo scorso 10 aprile, abbia evocato nuovamente le “ruspe”. Perché nelle cronache l’Hotel House è un centro di spaccio, merci abusive, prostituzione. Qui, nel 2015, ci sono stati arresti in un’inchiesta su una rete terroristica legata ad Al Qaeda. E qui, peraltro, era già venuto in visita, Matteo Salvini, aprile 2015, respinto dai residenti e dai centri sociali, dopo aver detto che il palazzone andava “raso al suolo”.
Ma dal 21 aprile l’Hotel House sfoglia una pagina nuova nel libro del suo destino: quella sera alle 21, e in replica il 23 alla stessa ora, un film ambientato in questa città verticale sarà appunto proiettato in anteprima mondiale a Linz, in Austria, dove sono già passati Matteo Garrone e film importanti come Pranzo di Ferragosto e Videocracy. Solo che per Homeward Bound – Sulla strada di casa saranno due prime serate, inclusa quella del sabato, segno che nelle selezioni il titolo italiano è andato fortissimo. È una storia di pura fiction, prodotta dalla VIEW, patrocinata da Amnesty International. A girarla, coi ragazzi del corso di cinema che si svolge al palazzone, sono stati Giorgio Cingolani, regista e antropologo dell’Università di Macerata, e Claudio Gaetani, regista e docente di cinema, sempre a UniMc.
Protagonisti gli adolescenti del palazzone, in storie che richiamano da vicino la loro realtà. “Perché è un film di cinema partecipativo, fatto con loro, non su di loro”, spiega Cingolani, “che vuol essere innanzitutto un’azione di cambiamento. Sceneggiatura e dialoghi li abbiamo creati sul posto coi ragazzi”. Anta Diop, Yasin Kaher, Alamin Madber, Naven Chowdhury, Ferdaus Rashid, Shah Zib, Zamir Veselj, questi i protagonisti, tutti tra i 15 e i 19 anni. Amore, gelosia, spaccio, lavoro, gazzarre. La fatica di essere riconosciuti, apprezzati, considerati. Ma anche la gioia di vivere una dimensione di amicizia quasi unica al mondo, nel quartiere più multietnico d’Italia. Un esperimento, quello di Homeward Bound, che riflette su quale debba e possa essere “la strada di casa” per questi adolescenti, che “a fatica”, dice Cingolani, “Sono venuti a vivere qui da bambini, conoscendo il modello italiano di integrazione: assistenzialismo e controllo sociale su una forza lavoro ghettizzata”. All’House i minorenni sono 439. “Vanno a scuola qui nelle Marche dalle materne, ma sono tenuti a distanza dalla società”, spiega Cingolani: “non c’è neppure un marciapiede che dal palazzo li porti in classe, alle medie e alle elementari che sono in centro. Basterebbero 700 metri di asfalto: niente, camminano in mezzo alla strada. Ma ora i punti deboli, raccontati al cinema, diventeranno punti di forza”.
E i ragazzi che dicono? Alamin e Yasin li troviamo che giocano a cricket nel campetto sgarrupato accanto al “mondominio”, come l’ha chiamato il sociologo Adriano Cancellieri. Alamin è bangladese, ha 19 anni, lavora nei campi intorno a Pedaso, vicino Fermo. “L’Hotel House?”, dice, “È il posto che mi piace di più, e se non vivi qui non puoi capire che è una città, con la gente brava e meno brava”. Yasin, 18 anni, bangladese, nel film è un ragazzo pieno di malinconia, costretto a lasciare il palazzone: “Il mio futuro? Penso che starò qui. Per ora studio all’Itis di Recanati”, racconta. Naven Chowdhury, 18 anni, ha successo con le ragazze e ha fatto un provino per Uomini e donne: sogna la popolarità. E poi c’è Shah Zib, 18 anni, pakistano naturalizzato italiano: col passaporto fresco è volato in Inghilterra, a lavorare in un supermarket, nel film invece è un pescatore, il lavoro che aveva nelle Marche. Zamir, 18 anni, macedone, è volontario alla Croce Azzurra: nel film finisce arrestato. Cristina Aurelia Popa, 19 anni, è una cantante rumena di Jesi che va a trovare Anta, 15 anni, senegalese, il solo volto femminile dell’House, nel film. “Le altre ragazze hanno partecipato con le loro idee e le voci fuori campo”, dice Cingolani, “ma i genitori non le hanno autorizzate a recitare, spaventati dall’impatto dei giornali e di YouTube”. Anta è una gazzella senegalese di 15 anni, con l’allure da modella: è proprio questo il mestiere che ha detto di voler provare a fare, mentre, finite le riprese, ha cominciato a portare il velo intorno al viso, come vuole la tradizione musulmana della sua famiglia.
Quando si è diffusa la notizia del progetto sui social diversi marchigiani hanno espresso rabbia e diffidenza, per il fatto che nel film, che finora ha solo sponsor privati, non si utilizzano attori italiani. “In realtà ce ne sono parecchi”, spiega Cingolani, che ha impiegato un solo attore professionista, Oscar Genovese, e come tutti ha lavorato gratis (gli eventuali utili saranno gestiti dai registi cogli attori). “Oggi al cinema, parlando di migranti, ci aspettiamo di vedere i barconi”, dice Claudio Gaetani, l’altro regista, citando l’Orso d’oro di Fuocoammare, “invece i nostri personaggi vivono qua da moltissimo tempo. Chissà, magari qualcuno capirà che Hotel House vuol dire anche volontariato, gente che pulisce per conto suo in tutto il condominio, a gratis, e associazioni che fanno doposcuola e promozione sociale”. Perché in fondo la strada di casa non può mai essere “la cattiva strada”.