Visionario e controverso, rivoluzionario e scomodo, incosciente e coraggioso. In genere, queste caratteristiche vengono attribuiti ai grandi artisti del passato. Ma questa volta si tratta di un artista dei nostri tempi: é il regista siriano Najdat Anzour. Autore di opere tra le più discusse e controverse nel mondo arabo, non riesce a stare tranquillo, e continua la sua ricerca visiva e artistica. Sotto scorta da anni, dopo le ennesime minacce di morte, insiste a raccontare la sua visione di ciò che accade, e lo fa non da posti sicuri, ma restando nel proprio paese, e rischiando tutti i giorni la propria vita.
Questa volta, la sua ultima opera cinematografica, è niente di meno che sul cosiddetto Stato Islamico. Il film è girato interamente in Siria, paese devastato dal terrorismo, nel quale i terroristi, occupando alcune zone e intere città, hanno dichiarato al-Raqqa propria capitale. “Faniya wa tatabaddad” (Svanirà e scomparirà), è il titolo del film, che è già un messaggio chiaro, è un gioco di parole che riprende il motto principale dell’IS: “Bakiya wa tatamaddad” (Resterà e si espanderà).
Il film è appena uscito nelle sale in diverse città siriane, dopo la prima nell’auditorium del teatro dell’Opera di Damasco, ed è la prima pellicola araba sul terrorismo dello Stato Islamico conosciuta in Occidente come IS e nel mondo arabo come Daesh. L’unico modo per esorcizzare il male è affrontarlo faccia a faccia, ed è ciò che ha fatto Anzour, attraverso un cast eccezionale che ha lavorato sotto le bombe sfidando la morte, per presentare il punto di vista dei Siriani sulla minaccia che terrorizza il mondo intero, e che gli stessi Siriani hanno conosciuto sulla propria pelle, con racconti di vita quotidiana, fatta purtroppo di rapimenti, torture, detenzioni; storie di innocenti che subiscono la pazzia di estremisti fuori controllo.
Bisogna combattere il terrorismo, con tutti i mezzi possibili, non solo con le armi, e questo è il ruolo di artisti e intellettuali. Il regista di Aleppo affida alla sua telecamera, come spesso nelle sue opere, proprio alle donne il ruolo da protagoniste. Nonne, madri, mogli e figlie sono le principali vittime del terrorismo, ma anche il simbolo della resistenza e del coraggio davanti ai terroristi, che le usano, le sfruttano, le odiano ma anche le temono.
Per demolire la propaganda dell’IS, non usa mezzi termini Anzour: pur essendo lui stesso mussulmano sunnita, chiama le cose con il proprio nome, criticando duramente la strumentalizzazione fatta dai terroristi della religione, smascherando la loro falsità e la loro ipocrisia, ridicolizzando il loro fanatismo, arrivando perfino a prenderli in giro, con humor nero, che riesce a strappare al pubblico siriano un sorriso tra le lacrime. La colpa imperdonabile di Anzour, agli occhi dei terroristi e di alcune dittature del mondo Arabo, è di aver infranto i principali tabù del mondo arabo, accostandosi a temi delicati e scottanti, con molte sue opere.
Il suo film King of the Sands (Il re delle sabbie) ad esempio, ha suscitato non poche polemiche, essendo basata sulla biografia non autorizzata di re Abdul Aziz Al Saud, fondatore e primo re dell’Arabia Saudita. La pellicola, racconta l’impressionante ascesa al potere del controverso giovane principe, i giochi di potere, il ruolo e l’influenza della politica britannica in Medio Oriente. Abdul Aziz infatti prende il potere dopo aver sterminato tutti i suoi avversari delle tribù vicine, con il sostegno degli Inglesi e l’aiuto di gruppi armati creati e finanziati appositamente, e arriva cosi a controllare la maggior parte della penisola arabica, terre che si rivelano più avanti ricchissime di risorse: un regno di sabbia su un mare di petrolio.
Il re delle sabbie è stato girato in inglese tra Siria e Libano, con un cast d’eccezione, dove il ruolo del protagonista Abdul Aziz è stato affidato a due attori italiani: Fabio Testi, nel ruolo del re negli ultimi anni di vita, e Marco Foschi, nel ruolo del giovane re, come protagonista assoluto del film. La famiglia reale saudita, sin dall’inizio, attraverso forti pressioni politiche e diplomatiche, aveva dichiarato guerra sul film, che finora non è stato mai distribuito fuori dalla Siria. Ormai tutte le sue opere vengono boicottate di canali satellitari di proprietà dei Paesi del Golfo Arabico.
Già in una delle sue più note sue serie tv, creata prima della crisi siriana di cui ha anticipato molti temi, Ma malakat Aymanukum, Anzour racconta il terrorismo in chiave realistica, in una lettura coraggiosa, tentando di andare alle radici dell’estremismo con una conclusione a sorpresa: oltre a contestare all’Islam l’uso della legge coranica per imporre alla società la propria supremazia, costringendo l’individuo a rinnegare se stesso e i propri desideri per un paradiso promesso, Anzour sostiene che l’estremismo e la violenza nasconono dagli individui e dalle loro problematiche personali, dal rapporto malato con il proprio corpo, e con gli altri. Ed in quest’ottica, anche la violenza alle donne è un’espressione che poi si trasforma in violenza sulla società intera.
Tra sharia e ribellione, lecito e illecito, proibito e consentito, come si percepisce, sia l’argomento, che il modo di trattarlo, è stato molto duro, e ha provocato uno shock, nel mondo arabo, abituato ad evitare certi tabù, e da qui scaturisce la sua importanza, di una serie mandata in onda, in onda nel 2010 durante l’alta stagione televisiva araba del mese del digiuno del Ramadan. Tra l’altro, la serie è andata in onda anche in Italia sui canali Sky: una rara occasione di apertura verso il mondo arabo nel nostro Paese.
Anzour è anche coinvolto in un fatto che riguarda direttamente l’Italia: è il regista di un film mai nato. Si tratta di Dhulm, Years of torment, ultimo film prodotto da Muammar Gheddafi sul periodo dell’occupazione italiana della Libia, prodotto addirittura da Renzo Rossellini. Le prime scene del film vennero girate proprio in Italia, alle isole Tremiti, dove venivano deportati i dissidenti libici. Tutto però si ferma dopo la sottoscrizione del trattato di riconciliazione tra Italia e Libia, firmato da Gheddafi e Berlusconi nel 2008. Le riprese vengono interrotte nel nome della realpolitik. Restano a testimonianza solo le scene girate alle isole Tremiti, prima dell’accordo.
Anzour e le sue opere, quindi, continuano ad essere testimoni degli eventi che hanno segnato e segnano la nostra vita per sempre.