I vescovi italiani esprimono le loro preoccupazioni in occasione del 1° maggio: “Deriva preoccupante messa in moto dal perdurare di una crisi economica stabilmente severa, da una disoccupazione che tocca diversi segmenti anagrafici e demografici (i giovani, le donne e gli ultracinquantenni), e da un cambiamento tecnologico che da più parti viene definito in termini di 'quarta rivoluzione industriale'"
“In Italia manca il lavoro. Il Meridione è sempre più povero e dominato dalla dittatura della criminalità organizzata. La mafia ha spostato gli affari al Nord”. È la dura denuncia della Conferenza episcopale italiana. In un messaggio della Commissione della Cei per i problemi sociali, il lavoro, la giustizia e la pace in occasione della festa del 1° maggio intitolato “Il lavoro: libertà e dignità dell’uomo in tempo di crisi economica e sociale”, i vescovi italiani esprimono le loro preoccupazioni. “Il dato prevalente – si legge nel testo – è che il lavoro in Italia manca. Una scarsità che porta sempre più persone, impaurite dalla prospettiva di perderlo o di non trovarlo, a condividere l’idea che nulla sia più come è stato finora: dignità, diritti, salute finiscono così in secondo piano. Si tratta di una deriva preoccupante messa in moto dal perdurare di una crisi economica stabilmente severa, da una disoccupazione che tocca diversi segmenti anagrafici e demografici (i giovani, le donne e gli ultracinquantenni), e da un cambiamento tecnologico che da più parti viene definito in termini di ‘quarta rivoluzione industriale’”.
Allarme viene espresso anche per la cosiddetta fuga dei cervelli. “L’Italia – si legge ancora nel documento della Cei – non può continuare a sprecare l’intelligenza, il talento e la creatività dei suoi giovani, che emigrano nella speranza di essere accolti altrove”. Forte preoccupazione anche per quanto riguarda il Sud del Paese. “Il Meridione – scrivono i vescovi italiani – è una terra che nel corso dei decenni ha subito un depauperamento economico e sociale tale da trasformare queste regioni in una seconda Italia, povera, sofferente e sempre più infragilita. L’emigrazione è il tratto macroscopico di questa situazione: negli ultimi dieci anni hanno abbandonato il Sud oltre 700mila persone, giovani, laureati, studenti, imprenditori tutte persone che, quasi sempre a malincuore, hanno lasciato la propria terra con l’amarezza di non poter contribuire alla sua rinascita. Ciò che colpisce e inquieta di questa situazione è la mancanza di consapevolezza rispetto al fatto che il destino delle diverse aree del Paese non può essere disgiunto: senza un Meridione sottratto alla povertà e alla dittatura della criminalità organizzata non può esserci un Centro-Nord prospero. Non è un caso che le mafie abbiamo spostato gli affari più redditizi nelle regioni del Nord, dove la ricchezza da accaparrare è maggiore”.
Dalla Cei non solo una forte denuncia della situazione lavorativa in Italia ma anche proposte concrete. Per i vescovi è necessario innanzitutto “prevedere uno strumento di contrasto alla povertà che poggi su basi universalistiche e supporti le persone che hanno perso il lavoro, soprattutto gli adulti tra i 40 e i 60 anni che non riescono a trovare una ricollocazione”. Un’altra indicazione riguarda “l’incentivazione di forme di dialogo scuola-lavoro”, dando anche “spazio all’innovazione e alla creatività, creando le condizioni per un sistema produttivo capace di liberare la fantasia e le capacità dei giovani e di tutte le persone con buone idee. A ben vedere – sottolineano i vescovi – lungo queste direttrici qualcosa si sta muovendo, sia a livello istituzionale sia dentro la società civile e il mondo dell’impresa. Tuttavia, la strada è ancora lunga perché l’Italia è stata per troppo tempo ferma”.
Twitter: @FrancescoGrana