Nati in Slovenia nel 1980 nella città industriale di Trbovlje, i Laibach sono il gruppo più conosciuto a livello internazionale fra quelli sorti in un Paese comunista dell’Europa dell’Est. Fondato nell’anno della morte del dittatore Tito, hanno da poco festeggiato i loro 35 anni di carriera con il tour Naše pesmi, Vaše sanje – titolo che è una rilettura in lingua slovena del film musicale Tutti insieme appassionatamente -, che ha raggiunto l’apice con un provocatorio concerto in Corea del Nord, a Pyongyang. L’occasione: il 70esimo anniversario della liberazione dall’occupazione giapponese della penisola coreana. Possono in questo modo fregiarsi del titolo di primo gruppo straniero a esibirsi in Corea del Nord. Il Naše pesmi, Vaše sanje tour intanto prosegue con due date in Italia: mancano poche ore infatti al concerto in programma questa sera a Trieste al Teatro Stabile Sloveno e domani 23 aprile a Bologna al Locomotiv Club. E’ stata questa l’occasione per scambiare due chiacchiere con il collettivo sloveno spesso paragonato per stile e irriverenza alla band tedesca dei Rammstein.
Mi spiegate come mai, quasi 36 anni fa, avete scelto il nome Laibach per la vostra band?
Avevamo bisogno di un nome e quando lo cercavamo è letteralmente venuto da sé. Il nome e il logo, la croce, sono la materializzazione dell’idea al livello di simboli cognitivi. Il nome Laibach è un suggerimento della possibilità concreta di stabilire un’espressione ideologica politicizzata come risultato dell’influenza della politica e dell’ideologia.
Vi sentite in credito o in debito con il mondo della musica?
Siamo in debito solo con noi stessi e con lo spirito costante immanente che ci guida.
Voi siete da sempre schierati ideologicamente e politicamente: quali sono le tematiche che più vi stanno a cuore attualmente?
Trattiamo di tematiche universali senza fare distinzioni fra loro; viste dalla prospettiva universale tutte le questioni e segmenti della vita, e della morte, sono ugualmente importanti. Nel tour europeo che stiamo affrontando, trattiamo molto della crisi dei profughi in Europa e della possibilità che possa spaccarsi l’Unione europea.
Musicalmente parlando, se qualcuno vi associa ai Rammstein, come spesso accade, lo prendente come complimento o vi dà fastidio?
Non ci dà fastidio, ma prenderlo come complimento richiede molta fantasia.
Cosa dobbiamo aspettarci dal vostro show che terrete stasera a Trieste e domani a Bologna?
Portiamo avanti con vigore il Sound of Music che abbiamo presentato di recente a Pyongyang ed eseguiremo canzoni dal nostro reportorio relative alla crisi europea dei profughi. Ma quel che consigliamo è ‘meno vi aspettate da noi tanto più otterrete’.