La sera del referendum sulle trivelle, a urne aperte, scoppia un pezzo dell'oleodotto della Iplom lungo il Polcevera. L'olio nero scivola a mare ma gli interventi per fermarlo ritardano, si tenta di ridimensionare la portata dell'incidente, nessuno ne parla. La Procura sequestra l'impianto, la compagnia risponde con la cassa integrazione. La rabbia dei residenti: "Ci avvelenano da anni, siamo come in prigione". Ecco cosa succede quando esplode la bomba ecologica che doveva portare benessere e occupazione
I battelli disinquinanti scivolano sull’acqua facendo avanti indietro lungo le dighe sifonate piazzate alla foce del torrente, intorno silenzio. Silenzio anche tra i boschi della Valpolcevera, dove le rane la sera hanno smesso di gracidare e di questo si stupiscono i residenti, più delle esalazioni che pure trafiggono il naso e la gola. Frazione di Fegino, teatro dell’ultimo disastro ambientale d’Italia, annunciato da anni e passato sotto silenzio. E’ qui che il greggio in arrivo dal Porto Petroli di Multedo fa tappa, compulsato nei silos della Iplom prima di essere movimentato tramite oleodotto interrato all’impianto di trattamento di Busalla. Perché la nave, si sa, meno sosta e meno costa. L’oro nero scende e sale attraverso condotte di 70 cm e domenica sera una di queste, fatalmente, ha fatto il botto per un probabile eccesso di pressione. Erano le 19.33, le urne del referendum sulle trivelle erano ancora aperte. Sono dei ragazzi a sentire lo schianto, pensano al terremoto, chiamano il 118. Arrivano i vigili, avvertono la Iplom e fanno chiudere la mandata che comanda il pompaggio. Ma l’olio che era nella condotta ormai è fuoriuscito e quello non intercettato si scarica a valle. Una modesta quantità, al più 300 tonnellate, si sente ripetere mentre scatta il piano di emergenza con panne, autospurghi e briglia sifonata a cento metri dalla foce.
Solo lunedì si iniziano a comprendere le reali dimensioni dell’incidente. Le barche dei pescatori usciti in mare tornato all’alba imbrattate di nero, riferiscono di aver incontrato macchie oleose. Arrivano le prime foto degli uccelli imprigionati dall’olio nero, del torrente Polcevera che schiuma e del greggio che galleggia e penetra nel terreno dei rii in secca. Dopo 24 ore si parla di “disatro”, si scopre che la quantità di greggio fuoriuscita è doppia: 700 tonnellate, dice l’Arpal. Scatta la corsa a fermare la macchia nera che scende a valle, fino alla foce del torrente che si tuffa nel mare. E così la Liguria, alla vigilia dell’apertura della stagione balneare, scopre che le bombe prima o poi esplodono davvero, anche quelle ecologiche. E sta col fiato sospeso da giorni, perché il greggio fuori controllo è stato avvistato a Varazze e ha toccato anche la spiaggia di Pegli, inquinando 300 metri del lungomare. Non è finita. E’ allerta gialla dalle 22 di stasera e per tutto il fine settimana: i temporali in arrivo potrebbero aggravare la situazione su due fronti, alimentando le correnti potrebbero spargere la macchia a mare lungo 40 km e la pioggia potrebbe vanificare anche gli sforzi a monte, lungo il torrente, dove le dighe potrebbero non tenere trascinando giù altre sostanze oleose.
Poi arrivano le polemiche, un fiume di polemiche. La società, riferiscono i residenti, si appalesa sul luogo dell’incidente solo a distanza di ore. “Era quasi mezzanotte quando sono arrivati mentre i Vigili del Fuoco erano al lavoro da tre ore”, racconta al fattoquotidiano.it Angelo Spanò, che risiede sul cucuzzolo di Fegino, quartiere Caronata, e dà voce al comitato dei Verdi. Dovrebbe essere la Iplom ad occuparsi dei lavori di rimozione dell’olio e di messa in sicurezza del torrente. Ma lo sforzo profuso finora, a detta dell’assessore alla Protezione civile di Genova, Gianni Crivello, è insufficiente: “Deve accelerare moltiplicando le presenze, i materiali e i mezzi per mettere in sicurezza quest’area”. Se le azioni messe in campo finora non bastano, sarà la Regione a prendere in mano la situazione.
La Procura di Genova ha avviato un’inchiesta e disposto il sequestro della raffineria oggetto di innumerevoli incidenti dal 1979 ad oggi. Dovrà stabilire, tra l’altro, se lo smottamento visibile in prossimità della rottura è l’origine o la conseguenza della rottura della tubatura. Di tutto questo si occupa il pooll di esperti del pm Walter Cotugno, specializzato in reati ambientali. Non solo. L’intervento per arginare i danni causati dalla rottura della conduttura è stato condotto seguendo un Piano di Emergenza Esterno (PPE) non aggiornato dal 2012 e quindi, secondo le previsioni di legge, scaduto nel 2015. Ma scaduto è anche quello dello stabilimento Iplom di Busalla, dove l’ultimo risalirebbe al 2006. La responsabilità del documento è in capo alla Prefettura di Genova. E ora tocca capire se quel ritardo era lecito o meno rispetto al quadro normativo e se ha contribuito in qualche modo a favorire l’incidente e la lentezza dell’intervento per fermarla.
E già insorge un altro problema, a complicare il quadro: all’azione della procura è seguita la reazione dell’azienda. Al sequestro Iplom ha risposto calando la carta della cassa integrazione per i 250 dipendenti dello stabilimento. Come all’Ilva, come a Vado, come al Centro Oli di Viggiano. Sul punto è pronta la risposta del procuratore capo Francesco Cozzi: “Al momento la priorità è intervenire sul territorio coinvolto. Quanto all’inchiesta, il sequestro durerà il tempo necessario per consentire l’accertamento dei fatti”.
La rabbia dei residenti monta. La notte dell’incidente un bambino che soffre d’asma ed un’anziana sono stati portati in ospedale per malore mentre le scuole sono state chiuse. Due giorni fa gli abitanti di Fegino, esasperati dalle esalazioni, hanno bloccato il traffico nel quartiere “passeggiando” sino alla Iplom di via Borzoli. E la situazione non è cambiata.“Siamo obbligati a stare in casa con le finestre chiuse per l’odore che brucia la gola e fa lacrimare gli occhi”, racconta al fatto Antonella Marras che abita appena sopra il centro abitato. “La gente è sconvolta da questo cambiamento di vita improvviso e terribile. Oggi non sono andata giù perché abito poco sopra, ma l’aria è pesante. So che stanno facendo i lavori per aspirare il petrolio ma c’è tanta puzza, dicono che non faccia male. Se stai giù vicino al fiume dove ci sono i negozi non puoi respirare. E’ una prigione da cui non puoi scappare”. Il sindaco ha emesso un’ordinanza di chiusura della strada principale per procedere a una bonifica con mezzi pesanti dalle 21 alle 5 del mattino per procedere alla bonifica in sicurezza.
Gli ambientalisti da sempre denunciano i rischi, ora accusano: “E’ evidente che in una fase di deindustrializzazione molto spinta con impianti vecchi la probabilità di incidenti va aumentando in tutta la Liguria”, spiega Santo Grammatico di Legambiente. “Questo incidente petrolifero è avvenuto a urne aperte mentre si doveva decidere sulle trivelle. I nostri sforzi per far capire che puntare alle energie fossili è un rischio enorme non sono stati suffucienti rispetto agli interessi in campo. Speriamo solo che i riflettori non si abbassino. L’Italia deve ancora trovare una strada e quella che ha scelto porta a questi risultati”. Lo stesso concetto scandisce il sindaco di Genova, Marco Doria annunciando che in caso di procedimento penale il Comune si costituirà parte civile: “Il referendum sulle trivelle c’entra con l’incidente genovese, è qualcosa di più di una coincidenza, è la dimostrazione che il tema del controllo di impianti di attività a rischio è centrale nella nostra società, non possiamo metterlo nell’angolo”.