In Mauritania c’è un ragazzo di 30 anni che rischia la condanna a morte per aver scritto un articolo ritenuto blasfemo. Si chiama Mohamed Cheikh ould Mohamed ould M’kheitir e lavorava come contabile. E’ detenuto da circa due anni e tre mesi, lunedì 18 a Nouakchott è iniziato l’Appello. E’ stato condannato al termine di un processo sommario, durato soltanto un giorno, il 24 dicembre 2014, dopo quasi un anno di custodia cautelare. E’ stato difeso da due avvocati d’ufficio, il legale di fiducia rimesso l’incarico, impaurito dalla pressione popolare sul dibattimento. M’Khetir è stato condannato alla pena capitale “per essersi preso gioco del Profeta e per il reato di ateismo”. E’ scritto in una sentenza di 25 pagine emessa dalla Corte Criminale di Dakhlet-Nouadhibou che censura un articolo sul periodo della conquista dell’Islam (“La religione, la religiosità e i fabbri”) pubblicato su un blog, col quale M’Khetir sviluppa alcune considerazioni sulla società islamica e sulla necessità di “cercare di fare una separazione tra spirito religioso e religiosità di alcuni eventi”. Chiedendosi: “La religione che noi pratichiamo ha vari volti. Come possono vari volti darci un unico vero volto?”.
La comunità islamica napoletana guidata dall’iman Abdallah Cozzolino e il Comune di Napoli si sono mobilitati per il ragazzo mauritano. Il sindaco Luigi de Magistris ha conferito a M’Khetir la cittadinanza onoraria, ritirata dalla sorella il 2 luglio 2015, e l’amministrazione comunale, insieme all’Unione delle Camere Penali, ha inviato in Mauritania come osservatore un magistrato esperto e preparato come Nicola Quatrano, gip del Tribunale di Napoli, negli anni ’90 pm di alcune delle più importanti inchieste della tangentopoli partenopea. Quatrano ha l’incarico di sorvegliare la correttezza del processo di Appello e di riferire all’Osservatorio Internazionale. “In un Paese senza stato di diritto – spiega Quatrano – i giudici sanno che la presenza di un osservatore straniero renderà noto in tutto il mondo l’andamento del dibattimento”. Ed infatti un primo risultato pare già raggiunto: secondo Quatrano “lo spostamento del processo nella capitale di Nouakchott sembra un buon segno ed è probabilmente il primo effetto della mobilitazione internazionale a favore del condannato. Che forse è stato punito così severamente perché appartiene alla casta dei “fabbri”, una corporazione diventata casta perché malvista e emarginata. In una società fortemente gerarchizzata come quella mauritana, dove sopravvive la schiavitù, ad un “fabbro” non sono consentite libertà che altri possono permettersi”. Nemmeno quella di scrivere un articolo critico. M’kheitir ha spiegato ai giudici di non essersi accorto di aver offeso il Profeta, altrimenti se ne sarebbe pentito. Ma la Corte Criminale ha respinto le scuse, perché “è stato appurato il reato di ateismo”: in caso contrario la pena sarebbe stata 2 anni di galera, il massimo per un apostata che abbia ammesso la colpa.
Il ragazzo ha raccontato la sua prigionia attraverso alcune lettere al magistrato napoletano. Eccone un passaggio. “Alla fine di dicembre 2013 ho scritto uno di questi articoli e per me è stata la fine. Erano i giorni delle festività di fine anno e sono andato a trascorrere alcuni giorni fuori città ma, dopo solo un giorno, ho ricevuto una telefonata dalla capitaneria della gendarmeria nazionale che mi chiedeva di presentarmi da loro in Caserma. Sono giunto dopo 2 ore e così è iniziato l’interrogatorio sull’articolo. Ho detto loro quale fosse il vero contenuto dell’articolo, ma loro mi hanno detto che dovevo restare sotto custodia cautelare fino a che la questione non fosse stata esposta al Procuratore della Repubblica. Sono rimasto in loro custodia 3 giorni soffrendo un forte freddo, fame, solitudine. Il quarto giorno, esattamente in data 5 gennaio del 2014, sono stato portato dal Sostituto Procuratore, che mi ha fatto lo stesso interrogatorio, cui ho risposto allo stesso modo finché non sono stato portato in prigione (cella di isolamento). Dovevo occuparmi io della pulizia, il cibo e le condizioni igieniche erano disgustosi. C’erano scarafaggi. Sono stato 6 mesi senza tagliarmi i capelli, senza tagliarmi le unghie, senza lavarmi”. M’kethir è riuscito a farsi una doccia soltanto dopo il trasferimento in un altro carcere. Ma è rimasto in isolamento fino a quando non è stato portato dal direttore del carcere. “Era per la prima volta dopo 8 mesi che vedevo la luce del sole”. Tutto per aver scritto un blog. Per fortuna la Mauritania ha aderito alla moratoria sulla pena di morte promossa dall’Italia e anche se la condanna dovesse essere confermata, non verrà eseguita. Ma per quanto tempo si può resistere in carcere in queste condizioni disumane?