Una donna velata da tre mesi si aggira per Cambridge, nel Massachusetts, portandosi dietro un banchetto. Una volta arrivata davanti alla biblioteca della città che ospita l’università di Harvard, lo appoggia con fatica appendendoci un cartello: “Ask a muslim” (“Chiedi a un musulmano”). Mona Haydar, artista di origini siriane nata nel Michigan, ha già trascorso così oltre cento pomeriggi. Accanto a lei suo marito Sebastian Robins, americano 43enne convertito all’Islam nel 2012, e loro figlio Safi di due anni. “In America c’è una vera paura contro i musulmani e io voglio combatterla parlando con la gente. Anche se, la prima volta che abbiamo fatto il banchetto, eravamo spaventati”. C’è chi le chiede il significato dell’hijab e chi della sua religione. Alcuni tirano dritto, altri accettano caffè e ciambella che la 27enne offre gratis ai passanti. “Una donna mi ha chiesto se poteva abbracciarmi – racconta la giovane a ilfattoquotidiano.it – e, con le lacrime agli occhi, mi ha detto che avremmo dovuto cambiare il nostro cartello in ‘Chiedi a un essere umano – cui è capitato il destino di essere musulmano’”.
Un’idea, quella della performer siriana, che è nata subito dopo la strage di San Bernardino, attacco di matrice jihadista avvenuta in California lo scorso dicembre, che ha portato alla morte di 14 persone. Qualche giorno dopo la sparatoria, vedendola velata, un uomo ha attaccato verbalmente Mona dicendole che i musulmani stavano uccidendo la sua gente. A novembre, invece, dopo gli attentati di Parigi, era successo a un neo-convertito Sebastian di avere “per la prima volta” paura nel suo Paese. “A dicembre io e mio marito abbiamo deciso che non potevamo più aspettare – continua la 27enne – e che se volevamo vedere cambiare il mondo avremmo dovuto essere i primi ad agire”. Qualche settimana di attesa ed ecco spuntare davanti alla biblioteca di Cambridge il loro banchetto con la scritta “Ask a muslim”. “Per molte persone i musulmani sono diventati improvvisamente fonte di mistero e preoccupazione. Con la nostra performance vogliamo solo mostrare che siamo persone normali”, continua Mona, mentre racconta della sua passione per Michael Jackson e di quanto a suo figlio piaccia suonare la batteria. “I terroristi rappresentano solo una minuscola parte dell’1,6 miliardi di musulmani al mondo. Ci deve essere data la possibilità di farci conoscere – continua l’artista – invece che identificarci tutti con dei jihadisti”.
“Prima di fare questo banchetto non avevo mai notato quante persone fissassero una donna musulmana – racconta il marito – e neppure quali fossero i privilegi di essere ‘un’americano bianco’”. Perché spesso, la coppia racconta di ricevere sguardi insistenti e commenti razzisti sia dal vivo sia sui social media, dove i messaggi xenofobi non mancano. “Cosa possiamo fare? Andiamo avanti e proviamo a dare comunque un sorriso a tutti”. Certo è che, accanto alle critiche, l’iniziativa della giovane coppia, che vive vicino Boston, sta funzionando oltre le loro aspettative. Tanto che Mona ha già iniziato a lavorare a un secondo progetto sull’inclusione femminile, in cui alcune donne musulmane andranno a pregare nella parte della moschea dedicata agli uomini. “Vorrei aiutare a creare un mondo più bello e egualitario. Tra le mie ispirazioni, vi è il modo in cui sta agendo Papa Francesco: lo ammiro davvero molto”.
Anche se i suoi genitori hanno lasciato Damasco negli anni Sessanta, molti degli zii e dei cugini di Mona si trovano ancora in Siria. “Mi piacerebbe potere fare qualcosa per loro – racconta la 27enne – Stanno vivendo una situazione terribile, dove provare ad andarsene vuole dire lottare contro governi che chiudono le loro frontiere. Ma tutti gli esseri umani meriterebbero di potere essere felici e al sicuro”. La sua risposta è stata, trovandosi dall’altra parte dell’Oceano, cogliere ogni occasione per “rendere il mondo un posto migliore”. “L’amore è solo una questione di allenamento – chiude la giovane artista – Più amiamo e più ci sarà amore attorno a noi. Ogni incontro è una nuova possibilità per rendere il mondo un posto di pace”.