Il presidente uscente della Cri Lombardia Maurizio Gussoni: "Non ho ricevuto segnalazioni, ma orari come quelli sono vietati per legge. Se c'è qualche matto che agisce così interverremo immediatamente"
Alberto (il nome è di fantasia per tutelare il lavoratore, ndr) preferisce non essere sentito da nessuno durante l’intervista. Ci fermiamo a lato della strada, in macchina. La sua bimba sta dormendo. “Ho difficoltà a mantenere degnamente la mia famiglia – racconta mentre cerca di parlare a voce bassa per non svegliare la figlia – tra l’altro la vedo pochissimo perché sono sempre impegnato in Croce Rossa”. La storia di Alberto è quella di un dipendente costretto a fare “turni che possono arrivare anche a 36 ore consecutive, oltre all’obbligo di fare il volontario due volte al mese”. Alberto sostiene di non essere il solo in questa condizione: “Tutti i membri del mio comitato hanno lo stesso trattamento – continua il lavoratore – solo che hanno paura a parlare perché temono di essere licenziati”.
Presidente uscente Cri Lombardia: “Fate i nomi e interverrò personalmente”
“Non ho avuto segnalazioni a riguardo – dice a ilfattoquotidiano.it il presidente uscente di Cri Lombardia Maurizio Gussoni – Se c’è qualche matto che agisce in questo modo, interverrò immediatamente con il commissariamento della sezione”. Il presidente, che nei prossimi giorni sarà sostituito dal neo eletto Antonio Arosio, si esprime anche sull’uso di voucher – “che a mio avviso sono usati nei limiti di legge” – e sui turni di 36 ore. “Fare 36 ore di lavoro consecutivo è vietato per legge”, precisa Gussoni. Croce Rossa, però, è un ente in cui è possibile essere sia dipendente che volontario, quindi arrivare a fare 36 ore in sede tra volontariato e lavoro vero e proprio. “Le assicuro – continua l’ex presidente – che anche se il volontario può dare la disponibilità che vuole, non gli concederemmo mai di fare un turno di 36 ore. Se qualche presidente lo permette, o addirittura lo impone, sarà mio compito chiedere al presidente nazionale Francesco Rocca di intervenire”.
Il processo di privatizzazione
Le condizioni dei lavoratori di Cri Italiana sono iniziare a cambiare da quando, nel 2012, l’ente pubblico ha subito un processo di privatizzazione. Dopo due anni di proroghe, il decreto legislativo 178 entra in vigore nel 2014. Gli effetti della norma? Li spiegò lo stesso Gussoni in un comunicato dell’ottobre 2014. “Tutti i dipendenti del 118 dovranno scegliere tra privato e pubblico. I primi entreranno nel meccanismo del contratto privatistico. I secondi, seguiranno la via dell’esubero”. In pratica, “i dipendenti di Cri che hanno scelto di mantenere il contratto pubblico – racconta Donatella Bassanello, dirigente sindacale Fials – sono stati demansionati e obbligati a non salire più sulle ambulanze”. Al loro posto, l’azienda privata ha fatto nuove assunzioni, “con contratti che garantivano meno tutele rispetto a quelli precedenti”.
Lavoratori del pubblico costretti a non salire più sulle ambulanze
“La Croce Rossa mi fa sentire inutile”. “Ho tanta voglia di svolgere la mia professione, ma non mi viene concesso”. “Ero un autista soccorritore da dieci anni: voglio lavorare”. Queste sono solo alcune delle segnalazioni raccolte da Fials. “Si tratta di personale tecnico che prima lavorava sulle ambulanze – precisa la dirigente sindacale – ma da quando l’attività è stata ceduta al privato risulta in esubero, perché al loro posto il privato ha assunto nuovi lavoratori”. Di cosa si occupano oggi i veterani della Croce Rossa? “Prestiamo quello che viene detto ‘soccorso di prossimità – racconta uno dei dipendenti – ovvero passeggiamo per Milano con uno zainetto con dentro garze e cerotti. Un’attività ridicola, rispetto a quelle per cui siamo stati formati”. “Questi lavoratori hanno perfettamente ragione – commenta lo stesso ex presidente Gussoni – ma non è colpa nostra, sono le leggi che ci impongono di non poterli usare diversamente”. Nessun pubblico dipendente, infatti, può essere usato da un soggetto privato. Ecco quindi inventato l’escamotage del “soccorso di prossimità”, ovvero lasciare operatori con vent’anni di servizio senza ambulanza a girare a piedi per la città che è, ammette lo stesso ex presidente della Cri Lombardia, “un po’ come avere una Porsche e andare a 20 all’ora”.
I lavoratori del privato
Ma cosa è successo, invece, a quei lavoratori che hanno accettato il contratto privatistico Anpas o quanti sono stati assunti successivamente al 2014? “Uno stipendio ridotto di 5mila euro annui, meno giorni di ferie e aumento delle ore di lavoro”, racconta un dipendente di Cri Lombardia. Queste, però, sono modifiche contrattuali di cui i lavoratori erano già a conoscenza una volta firmato il nuovo accordo. Quel che non sapevano, invece, erano gli obblighi che sembra alcune sezioni di Croce Rossa impongano ai loro lavoratori da quando si è avviato il processo di privatizzazione. “Abbiamo alcune segnalazioni di lavoratori che raccontano di essere obbligati a fare i volontari – continua Fials – o di dipendenti che hanno svolto la loro attività per più di 24-36 ore consecutive”. Altre segnalazioni, che la dirigente ha iniziato a raccogliere, raccontano di lavoratori pagati in parte con dei voucher, in parte in nero.
Queste le dichiarazioni della dirigente sindacale. Certo è che Alberto non è il solo lavoratore costretto a fare turni massacranti che abbiamo incontrato. Un secondo dipendente, infatti, questo mese ha fotografato l’orario dei turni nella sua sede. Questo è bastato per capire il problema, almeno in quella sezione di Cri: il lunedì, lo stesso lavoratore segnato nel turno di giorno (7-20), poi turno serale come volontario (20-7); il martedì, di nuovo lo stesso lavoratore sull’ambulanza di giorno (7-20) e la sera nuovamente come volontario (20-7). Lo schema si ripete il mercoledì, per il terzo giorno consecutivo. Un meccanismo che non si limita al singolo lavoratore, ma a tutti e tre i membri dell’equipaggio. “Non so se questa è la regola, ma sono certo che questo meccanismo non si limita al mio comitato”, continua il dipendente della Cri.
Tutto sarebbe più facile se i dipendenti decidessero di denunciare apertamente le condizioni che alcuni sostengono di subire. “Non possono esporsi più di tanto avendo sottoscritto il codice etico o codice bavaglio, come viene definito in gergo dai lavoratori – continua la dirigente sindacale – Inoltre, hanno paura di perdere il posto”. Infatti, da quando è iniziata la privatizzazione, i dipendenti sono legati alla convenzione della loro sezione. “Ovvero – chiude Bassanello – se una mattina il presidente dice di avere perso una convenzione, allora è legittimato anche a licenziare il dipendente. E al giorno d’oggi, nessuno vuole diventare disoccupato, per quanto terribili siano le proprie condizioni di lavoro”.