A meno di 24 ore dal j’accuse di Piercamillo Davigo, nuovo presidente di Anm, contro la corruzione della politica (leggi l’articolo di Marco Travaglio), arrivano a mezzo stampa due diverse e per molti versi opposte visioni della giustizia. Non quella del presidente del Consiglio, Matteo Renzi, che dopo i primi botta e risposta con l’ex pm di Mani pulite, ha deciso di attendere in silenzio. salvo un accenno nella enews diffusa in tarda mattinata, dove definisce le polemiche tra politica e magistratura “un film già visto per troppi anni”. E precisa: “Personalmente ammiro i moltissimi magistrati che cercano di fare bene il loro dovere. E anche i moltissimi politici che provano a fare altrettanto. Il rapporto tra politici e magistrati deve essere molto semplice: il politico rispetta i magistrati e aspetta le sentenze. Il magistrato applica la legge e condanna i colpevoli. Io rispetto i magistrati e aspetto le sentenze”. Tutto pro-Davigo, invece, l’intervento di Beppe Grillo sul suo blog. “Il bombaminkia di Rignano (Renzi, ndr), che forse non hai mai aperto un libro di storia, ha reagito con un originalissimo ‘Davigo chi?’, ignorando il fatto che Davigo facesse parte del pool di Mani Pulite quando lui era noto solo per essere un boyscout che le sparava grosse”.

Dal fronte del governo, il contrattacco a Davigo è firmato dal sottosegretario alla giustizia – e magistrato – Cosimo Ferri. “Non si comprendono e non si giustificano questi attacchi generalizzati del presidente dell’Anm, offensivi, che alimentano sterili distinzioni di ruoli e certamente non aiutano migliorare il servizio giustizia”, afferma il sottosegretario ed ex leader di Magistratura indipendente. “Va scongiurata in ogni modo – continua Ferri – una nuova stagione di veleni e sospetti reciproci tra politica e magistratura. Il governo ha messo in campo molte riforme sul piano della lotta ai fenomeni corruttivi, aumentando sensibilmente le pene, determinando lo sviluppo di un sistema di incentivi alla collaborazione e alla restituzione del maltolto. Sulla stessa linea altri strumenti sono dati dall’aumento dei poteri dell’Anac”.

Ma a pesare sono gli interventi dell’ex procuratore capo di Milano e già numero uno del sindacato delle toghe, Edmondo Bruti Liberati, e dell’ex pm di camorra e ora presidente dell’Anac, Raffaele Cantone. Ieri invece era stato il vice presidente del Csm, Giovanni Legnini, a replicare a Davigo. E ancora: “Il giudice Davigo non è contro il governo, è contro i corrotti. Se le cose coincidono la colpa non è di Davigo”.

Il primo sentenzia in una intervista a La Repubblica che “non esiste una magistratura buona contro un’Italia di cattivi”, il secondo parlando con il Corriere della Sera che Tangentopoli (di cui Davigo è stato uno dei protagonisti assoluti) “non sradicò la corruzione” e che “l’idea che tutto si risolva con le manette è stata smentita dai fatti”.

Bruti: “L’Anm non esca dal suo ruolo”
Bruti, da novembre in pensione e protagonista di uno scontro con l’aggiunto Alfredo Robledo sulla gestione di fascicoli delicati e almeno in un caso dimenticati, pensa che “vederla così (toghe buone contro politici corrotti, ndr) è in linea di principio sbagliato, e inoltre si scontra con la realtà”. Il confronto e a volte scontro tra magistrati e politici “viene a galla quando la magistratura acquisisce nei fatti un’indipendenza e una volontà di non fermarsi di fronte ai santuari, dagli scandali Lockheed e petroli, alla strage di piazza Fontana, ma i paragoni con il passato servono a comprendere l’evoluzione, non l’oggi”.

“I magistrati non danno ricette né affrontano i problemi deontologici altrui”

Bruti parla anche da ex sindacalista delle toghe e lancia un messaggio non diretto al collega: “L’essenziale per l’Anm è esprimere con chiarezza la propria opinione sui problemi della giustizia, ma altrettanto essenziale è che l’Anm non esca dal suo ruolo“. Paradossalmente proprio l’ex procuratore ritiene che non tocchi ai magistrati affrontare “il problema della corruzione, i magistrati si occupano di casi singoli che costituiscono reato. Non danno ricette né affrontano i problemi deontologici altrui. E, sinceramente, un passo avanti c’è sull’aspetto della prevenzione grazie all’Anac, l’autority Anticorruzione. L’abbiamo vista a Milano con l’Expo. L’Anac ha ricoperto il suo ruolo di “investigatore” nelle pratiche amministrative, la magistratura ha svolto indagini penali e i processi in tempi rapidi, mentre il prefetto con le interdittive antimafia ha eliminato alcune aziende sospette. Fine. L’Anac è giovanissima, deve ancora assestarsi, ma uno strumento per non sprecare denaro pubblico con appalti fasulli ora c’è”.

“Non tocca ai magistrati il problema della corruzione, ma i casi singoli” 

Bruti,a cui il premier rivolse un ringraziamento per il garbo istituzionale dimostrato proprio durante il periodo dell’Expo, pensa che “rispetto al passato, la magistratura riesce a indagare sino in fondo su casi rilevanti. Questo suo compito, riconosciuto, deve essere rispettato dalla politica. Viceversa, non ci siamo quando si dice o si fa capire che può essere la magistratura a risolvere questioni di costume o di etica pubblica. Se fossimo ridotti a questo saremmo davvero un povero paese”. Poi la stoccata al sindacato e ai colleghi: “Purtroppo abbiamo avuto casi di corruzione nella magistratura e non sempre la deontologia che l’Anm propone come codice etico è rispettata. Ognuno dovrebbe guardare al suo interno. Ma la politica non deve sottovalutare il malessere dei tanti magistrati che lavorano in condizioni frustranti per mancanza di mezzi e personale”. Sulla velocità dei processi, altro tema di scontro nelle ultime settimane, dice: “Si farebbero passi avanti significativi se alcune riforme di cui si parla sullo snellimento delle procedure fossero approvate”.

Cantone: “Dire che tutto è corruzione significa che niente è corruzione”
“L’idea che tutto si risolva con le manette è stata smentita dai fatti. La repressione da sola – argomenta Cantone – non funziona. Colpisce ex post; spesso in modo casuale; sempre quando i danni sono già fatti. La prevenzione ha tempi più lenti. Ma nei Paesi del Nord Europa, dove la corruzione è bassissima, ha funzionato”.

“Pensa che sia l’unico a poter risolvere i problemi. Non condivido una visione autoreferenziale e salvifica”

Il presidente Anac condivide, anche se in modo diverso, la riflessione di Bruti: “L’idea che ci sia un mondo tutto pulito, la magistratura, e un mondo tutto sporco, la politica e la burocrazia, è comoda da vendere come fiaba; ma è falsa. La magistratura è fatta al 99 per cento di persone perbene, ma le mele marce ci sono; come ci sono persone perbene in politica. Dire che tutto è corruzione significa che niente è corruzione, e il sistema non può essere emendato. Io non accetto questo pessimismo cosmico. Mi ribello a questa visione che esclude qualsiasi ricetta. Il pessimismo fine a se stesso diventa una resa. E questa resa nell’Italia di oggi non c’è. È vero che Tangentopoli non sradicò la corruzione, che è continuata come un fiume carsico. Ma ora – prosegue nell’intervista – vedo molte persone che vogliono provare a uscirne. E pensano che la soluzione non sia solo la repressione, che la ricetta non sia solo la stessa del 1993, che all’evidenza ha fallito. Uno non può ripetere le stesse cose a distanza di anni, e dire che è sempre colpa degli altri se le vecchie ricette non hanno funzionato.

“L’idea che tutto si risolva con le manette è stata smentita dai fatti”

“Io mi ribello a questa logica del fortino assediato. La magistratura ha meriti eccezionali; ma sarebbe scorretto non evidenziare che certi meccanismi organizzativi non funzionano. A tante persone che vengono in contatto con il sistema giustizia – non gli imputati; i testimoni, le parti lese – e non ne darebbero questi giudizi entusiasti. Non è giusto dire: va tutto bene madama la marchesa, e se va male la colpa è altrui. Ci sono testimoni che sono andati dieci volte ai processi e dieci volte sono stati rimandati indietro. Ci sono uffici giudiziari che danno risposte, e altri che non lo fanno. Ripeto: io amo la magistratura. Ma ho un’idea diversa del suo ruolo“.

E poi spiega: “Davigo pensa che sia l’unico a poter risolvere i problemi. Non condivido una visione autoreferenziale e salvifica. La magistratura non deve salvare il mondo; deve accertare i reati e decidere i processi civili. In nessun Paese del pianeta ha il monopolio nelle questioni di legalità; altrimenti finisce per esercitare una funzione di supplenza nei confronti della politica”. Alla domanda se condivide l’espressione usata da Renzi barbarie giustizialista Cantone risponde: “È una espressione esagerata. C’è stato un periodo in cui non tanto la magistratura quanto l‘interpretazione dei provvedimenti della magistratura ha creato eccessi: bastava essere indagati per venir messo alla gogna”.

Antonio Ingroia: “Davigo ha ragione”
Unica voce per ora, al momento, a favore del presidente dell’Anm è quella di Antonio Ingroia: “Il giudice Davigo dice le stesse cose che ho detto io in questi anni e che condivido pienamente. Immagino che il presidente dell’Anm non si riferisse ai politici in generale: sarebbe qualunquista, sbagliato e infondato, dire che sono tutti ladri. Il problema non riguarda gli individui, bensì un sistema”. Parlando con l’Adnkronos l’ex procuratore aggiunto di Palermo. “L’illegalità è entrata così profondamente nella classe dirigente italiana, con pezzi della burocrazia, della imprenditoria, sia a livello nazionale che periferico ed è tale che c’è una tale certezza di impunità, perché la giustizia funziona sempre peggio e la magistratura non ha più la forza di innescare processi e indagini come Mani pulite”.

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