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La giustizia secondo Renzi fa litigare il Pd: scontro nel partito dopo l’affondo del premier contro i magistrati

Affondo di Casson: “Le sue critiche fuori dalla storia”. Il bersaniano Gotor rincara: “Il premier sembra nervoso forse perché teme ulteriori azioni giudiziarie nei confronti di membri del governo e sceglie di giocare in attacco”. Ma i renziani fanno quadrato intorno al segretario. Ermini twitta: “I giudici parlino con le sentenze”. Romano accusa il giustizialismo: “Disastroso freno culturale e politico”. Mentre Morani ribadisce: “Stop alla pubblicazione delle conversazioni penalmente irrilevanti”

Critiche “completamente fuori dalla storia”, le definisce il senatore autosospeso dal Pd Felice Casson. Un intervento “molto apprezzato dagli esponenti di Forza Italia”, ironizza il bersaniano Miguel Gotor. Nel mirino della sinistra dem finisce l’ultimo intervento in Aula a Palazzo Madama del premier e segretario del Partito democratico Matteo Renzi. E la sua invettiva contro le “pagine di autentica barbarie legate al giustizialismoche il Paese “ha conosciuto negli ultimi 25 anni”. Quel disastroso freno culturale e politico ad una giustizia più giusta ed efficiente”, per dirla con le parole sottoscritte dal renziano Andrea Romano per promuovere l’intervento dell’ex sindaco di Firenze. Che ha indicato una rotta precisa:I magistrati vanno aiutati e sostenuti ad arrivare a sentenza – ha avvertito il presidente del Consiglio – ma quando non si arriva a sentenza e si immagina semplicemente di condannare le persone sulla base delle comunicazioni date ai giornali, in quel preciso momento mi ergo dalla parte della giustizia e non del giustizialismo che non aiuta i giornali”. Parole che hanno riacceso confronto e polemiche all’interno del Pd. E riaperto lo scontro sul delicato tema delle intercettazioni e della loro pubblicazione.

SPATARO SALVACI TU – I renziani fanno quadrato intorno al premier. “L’intervento di Renzi non è il manifesto di una riforma della giustizia”, spiega a ilfattoquotidiano.it il renzianissimo Stefano Esposito. “Ma, se si tratta di un tentativo di ricondurre l’ordine delle cose nel rispettivo alveo, non può che trovarmi d’accordo – aggiunge –. Non sono favorevole al garantismo ad ogni costo di chi arriva a contestare perfino le sentenze di terzo grado. Al contrario, sostengo la necessità di quella giusta dose di garantismo che mi porta a ritenere che un avviso di garanzia, strumento a tutela dell’indagato, non possa e non debba trasformarsi in una sentenza anticipata”. L’ex assessore capitolino della giunta Marino cita anche esempi concreti. “I recenti casi De Luca, Why Not, per il quale cadde addirittura il secondo governo Prodi, e del presunto mostro di Livorno mi sembrano, per restare all’attualità, gli esempi più adatti a sintetizzare ciò che intendo”, taglia corto. “Quanto ai processi mediatici, dal momento che non penso si possa impedire ai giornali di fare il proprio lavoro e non vorrei che passasse l’idea che è in corso il tentativo di imporre un bavaglio alla stampa, credo che la circolare del procuratore di Torino, Armando Spataro, sia da considerare la soluzione della questione”, assicura il senatore dem. “Tanto più che si tratta dell’iniziativa di un magistrato dal curriculum specchiato e non della solita politica cattiva – tiene a precisare Esposito –. Per quanto mi riguarda basterebbe che tutte le procure d’Italia seguissero il suo esempio, che salvaguarda l’uso processuale dello strumento eliminando alla radice ogni possibile abuso relativo all’utilizzo di intercettazioni non penalmente rilevanti, per rendere superfluo ogni intervento legislativo sulla materia”. Con stoccata finale al neo presidente dell’Anm Piercamillo Davigo: “Tra un’intervista e l’altra, mi piacerebbe sapere cosa ne pensa”.

FACCIAMO PACE – E’ la renziana Alessia Morani, invece, a rilanciare il tema della pacificazione tra poteri. “Abbiamo assistito dopo Tangentopoli ad uno scontro feroce tra politica e magistratura che si protrae da oltre vent’anni. Ora è arrivato il momento di recuperare, nel rispetto dell’autonomia e della distinzione dei ruoli, un rapporto di reciproca collaborazione”, assicura. “E ognuno deve fare la sua parte – spiega –. Noi proseguendo sulla strada delle riforme che hanno prodotto finora la legge anticorruzione, l’introduzione dei reati ambientali oltre a quello di autoriciclaggio, la reintroduzione del falso in bilancio e la nuova disciplina dello scambio politico-mafioso”. L’obiettivo è accelerare sulla riforma della giustizia e del relativo capitolo delle intercettazioni. “La nostra riforma della giustizia, sia penale che civile, ha ottenuto il via libera della Camera ed è ora al Senato dove, purtroppo, il Pd non è autonomo ma dipende dai numeri del Nuovo centrodestra – sottolinea la deputata dem –. Nella parte relativa al processo penale, inoltre, è incluso il tema delle intercettazioni. Rispetto alle quali, premesso che lo strumento processuale di ricerca della prova debba restare immodificato e nella piena disponibilità della magistratura, si pone un problema della loro pubblicabilità per quanto concerne quelle penalmente non rilevanti”. La soluzione? “Il nostro modello è quello indicato dalla circolare Pignatone-Spataro – conclude la Morani –: è il magistrato ad indicare cosa è rilevante e cosa non lo è ai fini delle indagini”.

TWEET E FILOSOFIA – Riassume nei 140 caratteri di un tweet, invece, il suo pensiero il responsabile Giustizia del Pd, David Ermini. “Le parole di Davigo fanno paura si magistrati – accusa il deputato dem –. Cerca la rissa ma non la troverà”. I giudici, aggiunge, parlino con le “sentenze”, incalza il deputato dem: “Noi rispettiamo il loro lavoro”. Mentre il renziano Andrea Romano rimandando il suo commento ad un articolo pubblicato giovedì dal quotidiano del partito L’Unità. “Le ragioni della giustizia sono sempre state in conflitto con le ragioni del giustizialismo – argomenta –. Un termine, giustizialismo, che nasce con il peronismo latinoamericano rappresentando originariamente un misto di populismo illiberale e antiparlamentarismo”. E che, prosegue la sua analisi, “nella recente storia italiana, attraversando sostanzialmente indenne il ventennio della sterile contrapposizione tra berlusconismo e antiberlusconismo, ha rappresentato un disastroso freno culturale e politico ad una giustizia più giusta ed efficiente”. Insomma, “se il giustizialismo è un male italiano”, conclude Romano, “la risposta più efficace è lavorare ancora di più per rafforzare gli strumenti con cui difendere legalità e onestà”.

FUORI DALLA STORIA – Ma non manca neppure chi, come il senatore Felice Casson, boccia sonoramente l’intervento del presidente del Consiglio. “Le critiche rivolte da Renzi alla magistratura mi sembrano completamente fuori dalla storia e non le condivido”, dice il senatore iscritto al gruppo del Pd ma autosospeso dal partito. “In passato i magistrati possono aver commesso degli errori – aggiunge – ma tornare a dipingere il rapporto fra politica e toghe alla maniera di Craxi e Berlusconi mi pare sbagliato”. Quanto alla riforma delle intercettazioni e all’ipotesi di espungere dagli atti quelle penalmente irrilevanti l’ex pm, relatore a Palazzo Madama della riforma del processo penale, spiega: “La Corte europea di Strasburgo (Cedu), la quale ha ritenuto che i giornalisti hanno il diritto-dovere di scrivere di fatti pubblicamente rilevanti anche in violazione del segreto istruttorio, in passato ha condannato alcuni Paesi che a loro volta avevano condannato dei cronisti”. Il caso più eclatante “è quello della Francia – ricorda Casson – dove due giornalisti, violando il segreto istruttorio e venendo condannati, ai tempi di François Mitterand avevano pubblicato un libro riguardante una struttura dei servizi segreti che controllava politici e magistrati”. E la Cedu? “Ha detto che il diritto-dovere di cronaca dei giornalisti nonché il diritto dei cittadini ad essere informati è superiore anche a questo istituto”.

GARANTISTI PELOSI – Morde con l’ironia il bersaniano Miguel Gotor. “L’intervento di Renzi è stato molto apprezzato dagli esponenti di Forza Italia e rientra in una strategia di fondo che strizza l’occhio, fuori del Parlamento, a quell’elettorato”, osserva il senatore del Pd. “Il premier in questo periodo mi sembra nervoso forse perché teme ulteriori azioni giudiziarie dirette o indirette nei confronti di alcuni membri del governo e sceglie di giocare in attacco per preparare il terreno di una resistenza politica che, se sarà necessaria, assumerà inevitabilmente toni culturalmente ‘berlusconiani’, ossia di denuncia della politicizzazione dell’azione della magistratura – spiega a ilfattoquotidiano.it –. Va però ricordato che se esistono i ‘giustizialisti’, esistono anche i ‘garantisti pelosi’ e credo sia una caricatura riscrivere la storia di questi ultimi vent’anni in questi termini”. Secondo Gotor, “bisogna piuttosto partire dai problemi: il primo è quello di una giustizia civile e penale troppo lenta che spetta a chi governa rendere più efficiente con opportuni finanziamenti e ampliamenti di organico perché una giustizia tardiva finisce per trasformarsi in ingiustizia ed è la migliore forma di protezione per i malfattori”. Il secondo problema è “un tasso di corruzione della politica e della società italiana di molto superiore agli standard europei, che produce un danno economico ed etico-civile enormi”. Solo “se la politica e soprattutto quanti hanno responsabilità di governo saranno in grado di sciogliere questi due nodi”, conclude il senatore dell’ala bersaniana, “anche il dibattito ormai archeologico sul presunto giustizialismo italiano si sgonfierà come un palloncino”.

VENIAMOCI INCONTRO – Un invito alla cautela arriva da Federico Fornaro. “Considero un errore riaprire lo scontro fra politica e magistratura, anche perché più che il giustizialismo va combattuto il sentimento che nutre l’antipolitica: un avviso di garanzia non è una condanna”, dice il senatore bersaniano. “Va detto che Renzi non ha usato i toni duri a cui ci hanno abituato i suoi predecessori – aggiunge –. Ha chiesto una velocizzazione dei processi per combattere la lentezza a cui i cittadini sono purtroppo abituati: un principio sacrosanto ma, ad essere onesti, le colpe di questa tendenza non possono essere imputabili solo ai magistrati quanto alle innumerevoli e ataviche problematiche di funzionamento della giustizia italiana”. Le intercettazioni? “Non mi sembra ci sia l’ipotesi di mettere il ‘bavaglio’ a qualcuno. Personalmente, sono contrario a misure che limitino l’azione degli inquirenti, ma al tempo stesso l’inserimento negli atti e la pubblicazione da parte dei giornali di spezzoni di frasi su fatti penalmente irrilevanti rischiano di penalizzare un’inchiesta – conclude Fornaro –. In questo senso, ai magistrati potrebbe essere dato il compito di espungere quelle che non hanno alcun risvolto utile all’inchiesta”. Ne fa, invece, una questione di equilibrio Davide Zoggia. “Occorre tenere separate le funzioni: governo e Parlamento hanno il compito di migliorare l’efficienza della giustizia ma senza travalicare in un’azione di delegittimazione della magistratura – spiega –. E’ il presidente del Consiglio in primis che ha il dovere di evitare conflitti tra poteri dello Stato”. Ciò detto, aggiunge, “la magistratura ha avuto ed ha nel nostro Paese grandi meriti”. E sebbene “io stesso ritenga che a volte siano finite sulla stampa intercettazioni quanto meno discutibili”, conclude Zoggia, “ciò non vuol dire che il sistema debba essere messo in discussione”.

Twitter: @Antonio_Pitoni @GiorgioVelardi