Quando il 20 aprile è apparsa la classifica di Reporter Senza Frontiere sulla libertà di stampa nel mondo, giornali e tv se ne sono scarsamente occupati. Era davvero una notizia secondaria o l’averla ignorata nasconde un po’ di cattiva coscienza? L’Italia in questa classifica figura al 77° posto, all’interno della terza fascia (sono cinque in tutto) dove la condizione dell’informazione è giudicata “problematica”. Ci precedono Lesotho, Armenia, Nicaragua, Moldova e ci seguono Benin e Guinea Bissau. La prima reazione, quasi stupita, è stata: come mai, l’Italia – una grande potenza economica fra i primi dieci Paesi al mondo per Prodotto interno lordo – è relegata in una posizione così marginale?
Lo sviluppo economico non corrisponde alla tutela dei diritti e a un ambiente idoneo alla libertà, come testimoniano la Russia (al 148° posto, in quarta fascia – situazione “cattiva”) o la Cina (al 176° posto), quintultima nella graduatoria mondiale della libertà di stampa. A ogni livello di sviluppo economico, ogni Stato è chiamato a superare le sue sfide interne. La libertà di stampa è, ad esempio, giudicata “buona” in Costa Rica (6°) e Jamaica (10°) mentre, tra le grandi potenze economiche, la Germania precede tutti con il suo 16° posto. I numeri non hanno il potere dell’aridità. Se si raffrontano gli indici mondiali di corruzione percepita, redatti da Trasparency International, ci si accorge che esiste una coerente corrispondenza tra l’alto livello di corruzione e il basso grado di libertà di stampa.
Nel 2015, Danimarca, Finlandia e Svezia sono considerati gli Stati meno corrotti, e, non a caso, figurano tra i primi otto per la migliore libertà di stampa. In questa graduatoria, la posizione dell’Italia è al 61° posto (un gradino non distante dal 77° posto sulla libertà di stampa), penultima nell’Unione europea davanti alla Bulgaria. Per quanto riguarda l’Italia, volendo affondare il coltello nella piaga, rispetto agli indici dell’anno precedente è aumentato il livello di corruzione ed è peggiorato quello della libertà di stampa. Da questo punto di vista, le dichiarazioni del presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Piercamillo Davigo, sui politici che rubano più di prima e sul danno maggiore che fa un politico che ruba rispetto a un comune delinquente, hanno il riscontro dei numeri, e, in quel “Paese normale” che non esiste, sarebbero state accolte per quello che sono: un grido d’allarme, un invito alla moralità. Davigo non ha puntato l’indice contro un partito, ma ha posto il problema del corretto funzionamento della democrazia.
La corruzione e il malaffare sono una minaccia per la libertà. Su questo fronte la stampa è in prima linea e subisce pesanti intimidazioni (sono indicati fra i 30 e i 50 i giornalisti italiani sotto protezione). L’autocensura – che nell’informazione è sempre stata presente – è un’altra forma di silenzioso piegarsi alle pressioni, una mesta sopravvivenza. La libertà di stampa misura l’autentico livello di libertà di un Paese. Quali traffici hanno rivelato i giornalisti che sono ora protetti dalla polizia? Parlarne il più possibile è un buon modo di fare informazione, per imprimere forza a quelle denunce tutelando chi, con inchieste coraggiose, ha difeso innanzitutto la libertà di ognuno di noi. Purtroppo però, buona parte della nostra informazione non sta andando in questa direzione: conformismo tremebondo e perbenismo sono spesso le bussole dei telegiornali Rai, il camaleontismo è un’altra tentazione così come resta indelebile lo spot familiare del figlio di Riina a “Porta a Porta”, a spese degli utenti e della libertà.
Al recente Festival internazionale del giornalismo non è mancato il solito allarme sul calo dei lettori di giornali il cui pubblico è sempre più inghiottito dalle piattaforme digitali e, dicono altri, dal progressivo disinteresse verso la politica. Indubbiamente sta cambiando il modo di informarsi, la disaffezione verso la politica però non è mai un dato definitivo e non coincide con un isolamento dai temi sociali. Libertà di stampa e risposte alla crisi del giornalismo si ritrovano nell’esigenza di un’informazione senza padroni che denuncia, a ogni livello, malaffare e corruzione. Da sempre è la strada più contrastata, ma è la sola, sulla via della libertà.