Dopo una ricerca di 7 anni che ha visto incrociare fonti e documenti da tutto il mondo, un'equipe di esperti ha ricomposto una banca dati con gli elenchi di chi passò dalla cosiddetta "anticamera dell'inferno", punto di smistamento verso i lager tedeschi, austriaci e polacchi
Era l’aprile del 1945 quando gli alleati, con l’aiuto dei partigiani, sfondarono la Linea Gotica per riversarsi nella Pianura Padana e procedere, città dopo città, alla Liberazione dell’Italia dal nazismo e dal fascismo. Ma arrivati a Fossoli, nella bassa Modenese, il campo di concentramento lo trovarono già vuoto. “L’anticamera per l’inferno”, così l’ha soprannominato chi ci finì, perché da lì si veniva deportati ad Auschwitz o in un altro lager nazista, era stato quasi del tutto evacuato tra l’agosto e il novembre del 1944, che il fronte era troppo vicino e i tedeschi temevano di non riuscire più a controllare il campo in sicurezza. Fu una Liberazione anticipata, insomma, di cui le truppe alleate decisero di approfittare subito. Rinchiudendo, cioè, nelle stesse baracche che avevano imprigionato ebrei e nemici del regime, le camicie nere, i soldati tedeschi e i collaborazionisti catturati. Tra il 1942 e il 1947, quindi, per Fossoli passarono migliaia di prigionieri, che però per anni rimasero senza nome. Nel campo, infatti, non furono mai trovati i registri d’ingresso. Così la Fondazione Fossoli nel 2009 incaricò un’equipe di ricercatori, affinché, incrociando fonti e documenti provenienti da tutto il mondo, ricostruissero il lungo elenco dei prigionieri del campo di concentramento principale d’Italia. Il risultato di quel lavoro è un database, I nomi di Fossoli 1942-1944, che verrà inaugurato ufficialmente il 25 aprile. “E’ una banca dati localizzata all’interno di una delle baracche recuperate, attraverso cui è possibile effettuare una ricerca nominale degli internati nel periodo bellico – racconta Marzia Luppi, direttrice della fondazione – E’ un lavoro che resta aperto, perché di alcuni deportati siamo riusciti a ritrovare lettere, testimonianze, interviste, mentre di altri abbiamo solo il nome, il luogo di provenienza e la data di nascita. Ma finalmente il database ci restituisce, 71 anni dopo, i nomi di quanti passarono per il campo durante la guerra”.
Nomi illustri, nomi di combattenti, nomi di semplici cittadini imprigionati con le famiglie e poi saliti su un treno per scomparire a nord, in Germania, in Austria o in Polonia. “Fino ad oggi siamo stati in grado di ricostruire oltre 7mila schede biografiche, tra ebrei, politici, militari prevalentemente inglesi catturati dai nazifascisti, civili e partigiani, imprigionati nel biennio che va dal 1942 al 1944 – spiega Luppi – ma il lavoro da fare è ancora molto”. E del resto trovare informazioni non è facile. Senza un registro da cui partire bisogna incrociare i dati provenienti da altre fonti, i documenti delle questure e delle prefetture, o quelli degli altri lager, che però sono lacunosi perché ad Auschwitz, ad esempio, chi finiva immediatamente in camera a gas non veniva nemmeno registrato.
E ad Auschwitz-Birkenau, Mauthausen, Dachau, Buchenwald, Flossenburg e Ravensbrück, passando per Fossoli, vennero mandati oltre 5mila internati politici e razziali. Su uno di quei convogli salì Primo Levi, che di quell’esperienza parla in Se questo è un uomo, e in una poesia, Tramonto a Fossoli. Ma anche i genitori e la sorella di Gilberto Simoni, del quale ilfatto.it ha già raccontato la storia. Aveva 16 anni quando il 17 aprile del 1944 venne arrestato con la famiglia dalla milizia della Repubblica di Salò, e rinchiuso a Fossoli. Lui e suo fratello si salvarono perché furono destinati a Buchenwald, dov’era attivo un saldo fronte di resistenza, che li protesse. Il resto dei suoi cari sparì oltre i cancelli di Auschwitz, per non fare più ritorno. O ancora, Alberto Sed, che pure passò per Fossoli prima di finire in Polonia. Aveva 15 anni all’epoca, e il soprannome “anticamera dell’inferno” sono parole sue: “Un inferno per chi è morto nei lager e un inferno per chi è sopravvissuto. Perché sempre ci siamo, nell’inferno”.
Poi c’erano i prigionieri del campo vecchio, 95 baracche gestite dalla questura di Modena per l’internamento civile: nel ’44, quando i tedeschi sentirono alleati e partigiani troppo vicini, e decisero di trasferire il lager al campo di Bolzano-Gries, furono gli unici realmente liberati. Gli altri, quelli del campo nuovo, ebbero una sorte molto diversa. “Il nostro obiettivo, ora, è riuscire ad arricchire il più possibile ogni scheda personale di informazioni – spiega Luppi – così da poter ultimare il lavoro e ricostruire con precisione i volti e le storie di chi a Fossoli fu imprigionato. Speriamo qualche familiare, o amico, o conoscente dei deportati, leggendo del database, ci dia una mano”.