Dal 1986, anno dell'incidente nucleare, la popolazione è diminuita di 6 milioni e mezzo principalmente per l'incremento delle morti infantili. Preoccupante anche la salute dei figli delle persone colpite dalle radiazioni: l'instabilità genomica ha aumentato la probabilità di contrarre tumori, malattie genetiche e malformazioni
Chernobyl, il più grave disastro nucleare della storia, è soprattutto una strage di bambini. Di chi era bambino ai tempi e di chi lo è ora perché la l’esposizione a sostanze atomiche è come una maledizione: si passa di padre in figlio e trent’anni dopo quel 26 aprile 1986 l’Ucraina sta ancora facendo i conti con quella terribile eredità.
La fuoriuscita di vapore contaminato cessò il successivo 10 maggio, ma il reattore numero 4 della centrale fu definitivamente tombato nel “sarcofago” solo tre anni dopo grazie al lavoro di un esercito di 600mila uomini che si sottoposero a dosi di radiazioni altissime. La storia li ricorderà come “i liquidatori”.
Nonostante il loro sacrificio, gli isotopi della morte sono riusciti ad avvelenare un un territorio di 150mila chilometri quadrati fra Ucraina, Russia e Bielorussia su cui vivevano più di 17 milioni di abitanti. All’epoca tra loro 2 milioni e mezzo avevano meno di sette anni.
Nel 1991 il governo di Kiev riconobbe come “vittime del disastro di Chernobyl”, bisognose di protezione sociale e medica, tre milioni e 400mila persone. Un milione e duecentomila erano bambini. I bambini di Chernobyl, come vengono ricordati in Italia, il paese che creò la più grande rete di accoglienza al mondo per i piccoli residenti delle zone colpite dal disastro.
Trent’anni dopo una serie di analisi dimostrano che la situazione è ben più grave rispetto a quella fotografata nel 1991. Come spiegano diversi studi, fra cui “Health effects of the Chornobyl accident. A quarter of century aftermath” (2006) e il più recente rapporto di Greenpeace “Nuclear scars: the lasting legacies of Chernobyl and Fukushima” (2011), nel ventennio compreso fra i 1991 e il 2010 la popolazione ucraina è diminuita di 6 milioni e 500mila unità. Il motivo? L’incremento delle morti infantili, soprattutto entro il primo anno di vita. Di pari passo nel Paese è diminuita anche l’aspettativa di vita: da 71 a 67 anni.
Nonostante gli sforzi di Kiev e della comunità internazionale a favore dei più piccoli, la diminuzione delle persone colpite dalle radiazioni completamente sane fa paura: se nel 1986 erano il 27 per cento, oggi si è passati al sette. Di pari passo è aumentata la percentuale di bimbi colpiti da malattie croniche: dall’8,4 del periodo prima dell’incidente a quasi l’80 per cento.
Preoccupante anche lo stato dei discendenti dei bambini di Chernobyl, di chi era piccolo allora che in questi anni è diventato a sua volta genitore. Gli studi dimostrano che l’instabilità genomica aumenta preoccupantemente la probabilità di contrarre un tumore, malattie genetiche e malformazioni. I problemi però non riguardano solo chi viveva vicino all’impianto (sito a 100 chilometri dalla popolosa capitale). Basti pensare che uno studio commissionato a Rivne, 340 chilometri a ovest della centrale ha dimostrato la maggior incidenza in Europa di malformazioni del tubo neurale degli embrioni, il luogo dove durante la gravidanza si svilupperà il cervello.
A Kiev l’Istituto ucraino di Radiologia nucleare e l’Organizzazione mondiale della Sanità hanno organizzato un convegno sull’impatto delle radiazioni sulla salute umana dopo trent’anni dove scienziati da tutto il globo hanno presentato le loro ricerche. L’unica realtà italiana presente era Soleterre, l’organizzazione non governativa impegnata nell’oncologia pediatrica in molte zone del mondo con cui il Fatto Quotidiano due anni fa visitò i nosocomi del paese est-europeo. “Molti donatori internazionali hanno sottolineato che le condizioni ambientali rendono molto difficile la cura dei tumori”, spiega il presidente Damiano Rizzi che al convegno ha presentato uno studio sull’impatto psicosociale dei tumori e sull’accoglienza dei bambini oncomalati. Dal 25 aprile al 14 maggio l’ong promuove la campagna “Grande contro il cancro” per raccogliere fondi da destinare alle cure dei bimbi ucraini e di altri paesi del Sud del mondo come Costa d’Avorio, India e Uganda.
“Il problema atavico del Paese è lo scarso accesso ai farmaci antitumorali”, spiega Rizzi che da 12 anni è presente nel Paese. Dal 2014, con lo scoppio delle ostilità nel Donbass, la situazione è precipitata ulteriormente. “Le autorità sanitarie non sono riuscite ancora ad acquistare antidolorifici, analgesici e chemioterapici per il 2016 e siamo già a metà aprile”, denuncia Soleterre. Il risultato è che le famiglie ricche riescono a procurarsi le cure per i piccoli al mercato nero (e spesso sono le stesse farmacie degli ospedali a venderle sottobanco), per i più poveri invece il destino è segnato. Se in Europa le percentuali di guarigione sono il 75-80 per cento dei casi, in Ucraina si scende al 55.5.