I movimenti sismici si avvertivano da qualche tempo: Piercamillo Davigo, giudice integerrimo e onesto servitore dello Stato, aveva iniziato gettando un macigno all’interno della Magistratura, dando vita a una corrente autonoma perché non soddisfatto della sudditanza della propria corrente di appartenenza, che si definiva moderata, cioè silenziosa davanti al potere politico, se non spesso succube. È bastato questo «fatto» a dare la sveglia all’intera Magistratura, se è vero che il neo-fondatore Davigo, nelle elezioni interne per la presidenza del sindacato dei Magistrati, ha ottenuto il maggior numero di voti e quindi la designazione naturale a presiederlo. Questo secondo «avvenimento» ha drizzato i radar dei politici e dei magistrati, per vocazione e per scelta (leggasi: carriera), che vi hanno ravvisato un atto ostile alla politica. Piercamillo Davigo è eletto con un compromesso: egli rappresenterà tutti i componenti dell’Anm, ma a rotazione, due anni a corrente. Egli che non ha mai avuto mire di potere e non si mai asservito a nessuno che non fosse la Giustizia, basato sul diritto e sul Codice, ha accettato perché gli pareva importante che «tutta» la Magistratura fosse unita nel difendere la propria autonomia, come da imperativo costituzionale.
Appena eletto, nella serie di interviste di rito, a domande dirette ha risposto con ovvietà del tipo: «La corruzione non è finita, anzi è aumentata – una delle cause più grave della lungaggine dei processi è la prescrizione – i governi succeduti a Berlusconi non hanno abolito una sola legge “ad personam” (segno che fa comodo, aggiungo io) – i politici continuano a rubare e oggi non se ne vergognano nemmeno – il politico ladro fa più danno di qualsiasi ladro di strada (aggiungo io: questo ruba a una sola persona, quelli [i politici] rubano a tutti) – invocare che i giudici parlino solo per sentenze equivale a tappargli la bocca» … e via con ovvietà di questo genere.
Apriti cielo, sconquàssati abisso, erutti l’Etna e tutto il cucuzzaro! Come si permette questo marziano di attaccare la politica: rispetto, perbacco! Un esilarante pidino, tale Ermini, arriva a polemizzare: «Davigo cerca la rissa, ma non l’avrà». Oh, poffarbacco, generosità nell’anno del giubileo! Renzi è arrabbiato «rispetto i magistrati, da loro mi aspetto sentenze». Salvini poi supera se stesso: «Certi magistrati non fanno una mazza», lui che non ha lavorato una sola ora nella sua vita, avendo vissuto solo di politica, in un partito che ha rubato anche in Tanzania e perfino le lauree farlocche del figlio di Bossi, identificato come El Trota.
Se le parole di un magistrato timido e senza arie provocano tanto scalpitio e reazioni scomposte, anche dentro quella parte della magistratura che si è sempre sentita alle dipendenze volontarie del politico di turno, una ragione ci vede essere e forse anche più.
Piercamillo Davigo fa paura e la paura fa novanta: parla come mangia, cioè semplice e chiaro. Le sue parole non hanno bisogno dell’interprete, ma arrivano subito a segno. Non solo, dice cose che sono sotto gli occhi di tutti: la quasi totalità dei consigli regionali, quelli che Renzi vuole mandare al nuovo senato, sono inquisiti per furto, anche del tipo: mutande verdi e no, parrucchieri, giocattoli, computer e mille altri ammennicoli e regali… con i soldi pubblici. Attualmente nel Pd vi sono 23 parlamentari indagati per vari reati e tutti stanno allegramente e impunemente al loro posto in attesa in compagnia della presunzione d’innocenza, che la prescrizione li salvi dalla sentenza di condanna o di assoluzione.
La politica è degna di questo nome dovrebbe perseguire il malaffare e la delinquenza e mettere i giudici in condizione di fare i processi in quindici giorni, non fare di tutto per impedire che i magistrati facciano il loro lavoro e giustificare comunque e dovunque la costa, accusando chi dice la verità di «volere la rissa». A domanda precisa di Marco Travaglio sulla deregulation renziana che ha pervicacemente, contro il parere di tutti gli onesti, innalzato la soglia dei pagamenti in contanti fino a 3000 euro, Davigo ha risposto: «Parlamento e governo sono liberi di fare le leggi che vogliono. Anche di depenalizzare i reati tributari, se l’Europa glielo permette. Ma non possono dire che così combattono l’evasione fiscale» (Il Fatto, 3/4/1016).
Questa frase è da incorniciare per la chiarezza di diritto fondamentale: il potere politico è libero di fare le leggi che vuole. Non è libero di contrabbandarle per leggi contro la corruzione. Se ne assuma la responsabilità. Con la riforma renziana, che avrebbe dovuto rivoluzionare l’universo della giustizia per catturare i ladri e garantire gli onesti è rimasta lettera morta e tutte le leggi «ad personam» sono ancora vigenti e si guarda bene dal toccarli. I ladri sono al sicuro e sono garanti anche per il futuro. Il vicepresidente del Csm che non fiata mai davanti a Renzi, si straccia le vesti davanti a un integerrimo Davigo che dovrebbe difendere, ma come può difenderlo un Legnini che è stato sottosegretario nel governo Renzi che lo ha voluto lì come cane da guardia dei magistrati come Davigo che si permettono di respirare?
Dio non voglia di dover rimpiangere B., Craxi e Berlusconi che sbraitavano all’unisono, come Renzi, contro «il giustizialismo ad orologeria», che è il nome nuovo dell’impunità della casta-sucida dei politici. Noi onesti stiamo tutti dalla parte di Piercamillo Davigo, spronandolo a non tacere. Mai. Celebriamo la resistenza del 25 Aprile, pensando al referendum costituzionale di ottobre. Attento, Renzi, attento!