Pio XII era felicemente regnante. Giovanni XXIII, all’epoca nunzio in Francia, si rammaricava per la destituzione di Mussolini: “Ha fatto del bene all’Italia”. Paolo VI, dichiarato antifascista, si era impegnato in prima linea in Segreteria di Stato nelle trattative per la fine della guerra. Giovanni Paolo II in Polonia aveva visto le persecuzioni nei campi di concentramento di alcuni suoi amici ed ex compagni di scuola ebrei. Benedetto XVI e il fratello Georg erano stati arruolati ex officio nella Gioventù hitleriana. Da tutti i Papi della seconda metà del Novecento la liberazione dell’Italia dai tedeschi, il 25 aprile 1945, veniva salutata con gioia e approvazione nel giorno in cui Sandro Pertini proclamava a Milano lo sciopero generale contro l’occupazione nazista: “Ponete i tedeschi di fronte al dilemma: arrendersi o perire”. Fondamentale era stato, negli anni della Seconda guerra mondiale, il ruolo di Radio Vaticana che, in stretta sinergia con Radio Londra, aveva trasmesso informazioni preziose agli alleati. Joseph Goebbels, il ministro della Propaganda del Terzo Reich, giurò di ridurla al silenzio. I membri della Resistenza francese trascrivevano le trasmissioni della radio del Papa e le distribuivano clandestinamente. Nel gennaio del 1940 in Vaticano nacque l’Ufficio informazioni che lanciava appelli per rintracciare civili e militari dispersi e trasmetteva messaggi delle famiglie ai prigionieri: dal 1940 al 1946 furono inviati 1.240.728 dispacci pari a oltre 12mila ore di trasmissione.
Pio XII, il silenzio sui lager e gli aiuti agli ebrei
Prima di diventare segretario di Stato di Pio XI, Eugenio Pacelli era stato nunzio in Germania fino al 1929, lasciando il Paese pochi anni prima dell’ascesa al potere di Adolf Hitler. Dal vertice della diplomazia vaticana il futuro Papa aveva seguito l’avvento del nazismo in Germania e del fascismo in Italia. Il 2 marzo 1939, alla vigilia dello scoppio della Seconda guerra mondiale, arrivò l’elezione al pontificato e con essa la tuttora controversa posizione sul suo silenzio davanti agli orrori nazisti nei campi di concentramento. Un silenzio, ancora duramente criticato dagli ebrei che si oppongono con tutte le loro forze alla beatificazione di Pio XII, affiancato però dall’aiuto concreto che il Papa offrì ai tanti perseguitati dal nazismo facendoli nascondere nei conventi di Roma e ospitandoli nella sua residenza estiva di Castel Gandolfo. Sono numerose le donne ebree incinte che durante le guerra diedero alla luce i loro figli nella camera da letto del Papa.
Giovanni XXIII e quel diario: “Il Duce ha fatto bene all’Italia”
Monsignor Giovanni Roncalli festeggiava il 25 aprile 1945 a Parigi nella sede della nunziatura apostolica. Due anni prima, il 25 luglio 1943, il futuro Papa aveva annotato con disappunto la destituzione di Mussolini da parte del Gran consiglio del fascismo. Sul suo diario, Il giornale dell’anima, scriveva: “Benito Mussolini? Ha fatto del bene all’Italia”. Un giudizio che ha creato non poco sconcerto durante il processo di beatificazione di Roncalli. “La destituzione di Mussolini – annotava l’allora diplomatico vaticano – l’accolgo con molta calma. Il gesto del Duce lo credo atto di saggezza che gli fa onore. No, io non getterò pietre contro di lui. Anche per lui sic transit gloria mundi. Ma il gran bene da lui fatto all’Italia resta: il ritirarsi così è espiazione di qualche suo errore”. All’interno della Chiesa, in particolare nella diplomazia vaticana e nella Curia romana, era diffuso il giudizio positivo per l’operato di Mussolini. Gli veniva, infatti, riconosciuto il grande merito di aver risolto la Questione romana firmando con la Santa Sede i Patti lateranensi. La fine della Seconda guerra mondiale non poteva non rendere felice il futuro Papa bergamasco che consegnerà al mondo la sua enciclica-testamento Pacem in terris e un anno prima di morire, nel 1962, contribuirà in modo determinate alla risoluzione della crisi missilistica di Cuba e a raffreddare le tensioni tra gli Stati Uniti e l’allora Unione Sovietica, evitando lo scoppio di una guerra nucleare. “La Chiesa – affermò Roncalli nel suo storico appello – non ha nel cuore che la pace e la fraternità tra gli uomini, e lavora, affinché questi obbiettivi si realizzino. Noi ricordiamo a questo proposito i gravi doveri di coloro che hanno la responsabilità del potere. E aggiungiamo: con la mano sulla coscienza, che ascoltino il grido angoscioso che, da tutti i punti della terra, dai bambini innocenti agli anziani, dalle persone alle comunità, sale verso il cielo: pace! pace!”.
Paolo VI, il “più antifascista”
Se non avesse seguito la sua vocazione, Giovanni Battista Montini avrebbe sicuramente seguito le orme del padre Giorgio, deputato del Partito popolare italiano fondato da don Luigi Sturzo e fermo oppositore di Mussolini. Nella lunga carriera diplomatica in Segreteria di Stato, prima come semplice minutante, e poi come sostituto per gli Affari generali, ovvero “ministro dell’Interno” vaticano, Montini non aveva mai nascosto ai due Pontefici che aveva fedelmente servito, Pio XI e Pio XII, la sua profonda avversione per Mussolini e il fascismo. Durante le trattative per la stipula dei Patti lateranensi il giovane don Battista aveva più volte scoraggiato Papa Achille Ratti a scendere a patti con il Duce. Fu Montini a scrivere il testo dello storico radiomessaggio che Pacelli pronunciò il 24 agosto 1939 per scongiurare lo scoppio del secondo conflitto mondiale: “Nulla è perduto con la pace. Tutto può esserlo con la guerra. Ritornino gli uomini a comprendersi. Riprendano a trattare. Trattando con buona volontà e con rispetto dei reciproci diritti si accorgeranno che ai sinceri e fattivi negoziati non è mai precluso un onorevole successo”. Pio XII, a differenza di Vittorio Emanuele III, non lasciò mai Roma durante la guerra e fu proprio Montini ad accompagnarlo, il 19 luglio 1943, al Verano subito dopo i bombardamenti americani per testimoniare la propria vicinanza alla popolazione ferita.
Giovanni Paolo II e gli orrori nazisti in Polonia
La Storia ha affidato al Papa polacco il compito di essere il primo vescovo di Roma a varcare il cancello di Auschwitz. Wojtyla aveva sperimentato sulla propria pelle gli orrori del nazismo. Durante gli anni della guerra entrò nel seminario clandestino dell’allora arcivescovo di Cracovia, il cardinale Adam Stefan Sapieha, e fu costretto a lavorare prima come fattorino in un ristorante e poi nelle cave di pietra della Solvay. Il 6 agosto 1944, nascondendosi nell’Arcivescovado, il giovane Wojtyla riuscì a scampare al rastrellamento della Gestapo a Cracovia. Fu Giovanni Paolo II a canonizzare, nel 1982, san Massimiliano Kolbe, il sacerdote francescano polacco che offrì la sua vita nel campo di concentramento di Auschwitz al posto di quella di un padre di famiglia destinato al “bunker della fame”. “Vengo qui oggi – disse Wojtyla nel 1979 visitando quel luogo di orrore – come pellegrino. Si sa che molte volte mi sono trovato qui… Quante volte! E molte volte sono sceso nella cella della morte di Massimiliano Kolbe e mi sono fermato davanti al muro della morte e sono passato tra le macerie dei forni crematori di Birkenau. Non potevo non venire qui come Papa”.
Benedetto XVI che si domandò: “Dov’era Dio?”
Dopo il Pontefice polacco toccò a un figlio della Germania, Benedetto XVI, visitare, nel 2006, Auschwitz. “Papa Giovanni Paolo II – disse in quell’occasione Ratzinger – era qui come figlio del popolo polacco. Io sono oggi qui come figlio del popolo tedesco e proprio per questo devo e posso dire come lui: non potevo non venire qui. Dovevo venire. Era ed è un dovere di fronte alla verità e al diritto di quanti hanno sofferto, un dovere davanti a Dio, di essere qui come successore di Giovanni Paolo II e come figlio del popolo tedesco, figlio di quel popolo sul quale un gruppo di criminali raggiunse il potere mediante promesse bugiarde, in nome di prospettive di grandezza, di ricupero dell’onore della nazione e della sua rilevanza, con previsioni di benessere e anche con la forza del terrore e dell’intimidazione, cosicché il nostro popolo poté essere usato e abusato come strumento della loro smania di distruzione e di dominio. Sì, non potevo non venire qui”. Ma davanti all’orrore di quel luogo in Benedetto XVI nacque spontanea una struggente preghiera: “Dove era Dio in quei giorni? Perché egli ha taciuto? Come poté tollerare questo eccesso di distruzione, questo trionfo del male?”.
Francesco e la terza guerra mondiale
Bergoglio, che nel prossimo mese di luglio durante il suo viaggio in Polonia per partecipare alla Giornata mondiale della gioventù di Cracovia sarà il terzo Papa a visitare Auschwitz, non ha sperimentato direttamente gli orrori della Seconda guerra mondiale. Figlio di emigrati piemontesi, il futuro Papa latinoamericano all’epoca della liberazione italiana aveva da poco compiuto 8 anni. Francesco, che più volte ha denunciato che è in atto una “Terza guerra mondiale a pezzi”, ha rivolto un appello in occasione del 70esimo anniversario della fine della Seconda guerra mondiale: “L’auspicio è che la società umana impari dagli errori del passato e che di fronte anche ai conflitti attuali, che stanno lacerando alcune regioni del mondo, tutti i responsabili civili si impegnino nella ricerca del bene comune e nella promozione della cultura della pace”. Ancora più forti sono state le sue parole ricordando le bombe di Hiroshima e Nagasaki: “Maledetti coloro che operano per la guerra e le armi”.