Cosa stiamo qui a fare? Intendo proprio voi e me, cosa stiamo qui a fare? Voi che state leggendo queste parole, in un non precisato momento dopo che io le ho scritte. Qual è il senso del vostro leggere. E il senso del mio scrivere. Parlare e sentir parlare di musica, oggi, ha ancora un senso? Prendersi la briga di dedicare un po’ del proprio tempo a approfondimenti che, in epoca di musica liquida, probabilmente potrebbero essere ovviati da un semplice click in un sito di streaming, o di download. Non che me lo chieda ogni volta che apro un nuovo file di word, anche perché farei una vitaccia, in caso, visto che ripeto questo gesto svariate volte al giorno, tutti i giorni.
Il fatto è che in questo preciso momento, mentre voi, chissà quanto tempo dopo che io sto scrivendo queste parole, le leggerete, credo che il vostro leggere e il mio scrivere, almeno per questa volta, abbiano un senso preciso. Salvifico, addirittura. Perché se è vero, ed è vero, che oggi la musica la si può ascoltare con una facilità che anche solo l’altro ieri, un altroieri metaforico, sembrava impossibile, è anche vero che, di fronte all’universo, a volte, avere qualcuno che indica una stella può aiutarci, può semplicemente servirci a concentrare lo sguardo in una direzione, fare quel famoso click di cui si diceva prima.
Bene, se quanto ho scritto fin qui, e soprattutto quanto scrivo solitamente di musica vi convince, e anche solo se non vi convince e volete avere riprova che, nonostante un ruolo che io ricopro, a vostro dire indegnamente, è in effetti spazio rubato a chi saprebbe gestire il tutto meglio di me, fermatevi e fate questo benedetto click. Ascoltate Nessuna paura di vivere di Andrea Mirò, poi, se volete, mandatemi pure a quel paese e riprendete a guardarmi con fiducia o con sospetto.
Nessuna paura di vivere di Andrea Mirò è un album importante, di una bellezza difficile e spiazzante, che potreste faticare a incontrare, se non vi fermate un attimo a concentrare lo sguardo e guardare in alto. Un album per cui vale la pena continuare a leggere e scrivere di musica.
Perché Andrea Mirò, che magari conoscete di nome ma non avete ancora messo a fuoco, in un mondo non dico giusto, ma anche normale, sarebbe un’artista ammirata e riconosciuta da tutti come un nome fondamentale del panorama musicale italiano. Invece è il classico esempio di chi viene riconosciuto da tutti gli addetti ai lavori come un vero talento, polistrumentista, direttrice d’orchestra, ottima interprete, cantautrice, ma non altrettanto identificata dal pubblico, che ne conosce il nome e qualche canzone, certo, ma che non le da il seguito che meriterebbe.
Perché, lo dico senza correre il rischio di essere spacciato per uno che fa partigianerie, perché confesso amicizia e affetto nei confronti dell’artista in questione, le dodici canzoni che compongono la tracklist in questione sono dodici perle. Non fosse che Mirò ha una voce calda, scura, come di una Fiorella Mannoia che ha ancora molto da dire, anche un po’ meno sguaiata (o se volete molto più elegante), verrebbe da dire: canzoni che se a cantarle fosse una voce più nota farebbero un grande successo. Ecco, brani come Piove da una vita, Deboli di cuore, primo singolo estratto da questo lavoro, Così importante o la splendida Sorprese, segnatevi questi titoli, da sole varrebbero la discografia di tanti altri artisti italiani. Questo per più di un motivo. Sono belle canzoni, innanzitutto. Lo sono perché Andrea Mirò ha una capacità di scrivere alta, cercando soluzione melodiche non scontate, in questo caso anche giocando con i toni bassi, quasi maschili della propria voce, grazie alla produzione di Manuele Fusaroli, e perché sa trovare parole desuete e musicali, dolorose e poco rassicuranti. Sì, le canzoni di Andrea Mirò non sono rassicuranti, non tendono a metterci a nostro agio, a passare senza lasciare traccia, e questo è un pregio raro. Sentite gli archi che giocano a fare da contrappunto alla voce in Sorprese, brano che esibisce uno dei ritornelli più potenti uscito negli ultimi anni, col suo “Potevi dirmi che avevi un alfabeto nascosto/ E nel linguaggio segreto dei sogni io sarei stato il tuo pasto”, oppure sentite il violino, sempre lui, a fare il riff in Deboli di cuore, dove a fianco delle note grevi trova spazio un soave falsetto.
Manuele Fusaroli, si diceva, meglio noto come Max Stirner, Fusaroli è stato ed è uno dei massimi produttori della cosiddetta scena indie, dietro tanti successi, dai Teatro degli Orrori ai Tre Allegri Ragazzi Morti, passando per Le Luci della Centrale Elettrica, il Management del Dolore Post-Operatorio fino a Zen Circus e l’ultima Nada. Bene, uno come lui, con oltre una cinquantina di lavori alle spalle, ha trovato proprio al fianco di Andrea Mirò, per sua stessa ammissione, lo stato di grazia. Avere al fianco una cantautrice che è anche una musicista, anzi, una polistrumentista capace di passare senza colpo ferire dalla chitarra al pianoforte, lavorando con naturalezza sugli archi, violinista di formazione classica, ha permesso a Manuele di sperimentare su colori che solitamente sono anche solo impensabili nei nostri dischi. Soprattutto a lui va reso il merito di aver spinto Mirò a giocare ulteriormente con la sua voce, spingendole, complici le canzoni in questione, a risaltare il lato dark e noir, da impietosa carnefice dei sentimenti.
Due eccellenze che si incontrano e insieme danno il meglio di loro, non è cosa che capita tutti i giorni di intercettare.
Mirò si mette a nudo in questo lavoro, la copertina ben ce lo spiega, e io ci metto la faccia, altroché paura di vivere.
Ora, sapete bene, se siete tra quanti seguono questo blog, come i miei rapporti con il Club Tenco non siano serenissimi, ma se quest’anno non daranno un qualche riconoscimento a Nessuna paura di vivere, lo scrivo nero su bianco, è bene che mi fermino all’ingresso dell’Ariston, o dovranno fare i conti con un kamikaze riempito di guano di gabbiani pronto a farsi saltare in platea.