L'accusa arriva da una interrogazione del M5S. Che chiede spiegazioni al ministro Giannini. Sui criteri che l'hanno indotta a ritenere il suo profilo come il più idoneo. Nonostante le eccellenti referenze dei due colleghi che lo precedevano in graduatoria. Morra: "Si è trattato di una svista o il Miur volutamente ha optato per un candidato di terza scelta?”
Se non è un record, poco ci manca. A due mesi dalla sua nomina al vertice del Consiglio nazionale per le ricerche (Cnr) sono in molti a volere la testa di Massimo Inguscio. Dapprima è partito un appello sottoscritto, tra gli altri da Stefano Rodotà, Salvatore Settis e Gustavo Zagrebelsky perché si dimettesse dopo le dichiarazioni su etica e ricerca rilasciate nel corso di un convegno a Catania. Ma la scorsa settimana il caso Inguscio è approdato addirittura al Senato. Con una richiesta di chiarimenti che Nicola Morra del M5S ha indirizzato al ministro dell’Istruzione, l’Università e la Ricerca scientifica (Miur), Stefania Giannini. Questa volta sulle procedure attraverso le quali si è scelto di puntare su di lui per la presidenza. “Il ministro Giannini deve venire a spiegarci per quale motivo abbia nominato proprio il prof. Massimo Inguscio a capo del più grande e prestigioso ente di ricerca del Paese, il Cnr, nonostante nella rosa dei nomi scelti dal Comitato di selezione ci fossero candidati con un punteggio ben più alto del suo. Si è trattato di una svista o il Miur volutamente ha optato per un candidato di terza scelta?”, ha scritto Morra in un’interrogazione urgente al ministro, ancora senza risposta.
TRA I DUE LITIGANTI La nomina del nuovo presidente del Cnr è avvenuta il 20 febbraio scorso. Dopo la conclusione della procedura che ha visto coinvolto un comitato di alto valore scientifico coordinato da Lamberto Maffei e di cui fa parte anche Fabiola Gianotti, da pochi mesi al vertice del Cern di Ginevra. La loro missione era ovviamente delicatissima dal momento che la competizione dovrebbe rappresentare il gotha della ricerca italiana: ventisei i nominativi al vaglio, nel riserbo quasi totale, nell’ambito della procedura di selezione iniziata dopo l’avviso pubblico dello scorso 18 dicembre. Le risultanze dell’istruttoria sono state trasmesse al ministro Giannini il 9 febbraio, dopo una riunione fiume del Comitato, a quanto risulta dal verbale che ilfattoquotidiano.it ha potuto visionare. Seduta iniziata alle 22 e 30 dell’8 febbraio e conclusa il giorno dopo alle 15 e 30, in cui sono state approvate “all’unanimità” le schede di valutazione delle candidature, già esaminate “accuratamente” nel corso di riunioni precedenti. Due nomi hanno prevalso su tutti gli altri. Anche se alla fine la scelta del ministro non è caduta su di loro.
FUORI ROSA Cosa hanno infatti stabilito gli scrutini dei ventisei concorrenti eccellenti? Nella rosa dei cinque finalisti non sono entrati per cominciare né Maria Chiara Carrozza, oggi deputata del Pd e già ministro dell’Università nell’esecutivo di Enrico Letta. Né Francesco Profumo che Mario Monti aveva voluto sempre al ministero di Viale Trastevere nonostante si fosse appena insediato da presidente del Cnr: incarico conquistato, all’epoca, battendo avversari agguerritissimi e che ha dovuto lasciare, per questo, non senza rammarico. Accanto a Carrozza e Profumo nella stessa fascia di valutazione, e cioè fuori dalla cinquina, anche l’ex presidente dell’Ingv, Enzo Boschi, il biofisico Claudio Nicolini, l’economista Patrizio Bianchi e l’ex presidente dell’Agenzia spaziale italiana, Giovanni Bignami. Che hanno totalizzato, tutti, 80 punti su 100, poco sotto al sesto classificato, Luciano Pietronero (a capo del team italiano che ha messo a punto l’algoritmo che prevede la crescita del pil) a quota 85. Piazzati più indietro tutti gli altri.
FANTASTICI CINQUE In cima alla classifica dei fantastici cinque, ecco i due nomi più meritevoli, il chimico Vincenzo Barone, primo con 95 punti su 100. Seguito dal direttore dell’Esrf, il laboratorio europeo delle radiazioni al sincrotrone, Francesco Sette, che di punti ne ha totalizzati poco meno, 92. Un distacco minimo che giustifica un giudizio equivalente sui loro curriculum: “eccellenti competenze scientifiche ed eccellenti competenze gestionali”. A pari merito, più distaccati, gli altri tre: l’oncologa Adriana Albini, il presidente della Stazione zoologica Anton Dohrn, Roberto Danovaro e, appunto, Massimo Inguscio già presidente dell’Inrim, l’Istituto nazionale di ricerca metrologica. Per questi tre il voto è stato di 86 punti su 100, accompagnato dal giudizio che segue: “Competenze scientifiche molto buone ed esperienze gestionali molto buone”. Insomma, la selezione ha restituito un risultato chiaro: due profili al top e altri tre, sempre di primissimo livello, ma medaglie di bronzo, a pari merito tra di loro. Ecco allora avanzarsi la domanda: perché Inguscio è stato ritenuto la persona più idonea a ricoprire l’incarico? In basi a quali altre considerazioni – è il senso della richiesta di chiarimenti del senatore pentastellato – il ministro ha ritenuto di discostarsi dalle pagelle formulate dal Comitato esclusivamente sulla base dei meriti e delle competenze?