Sui giornali della Basilicata compare una lettera dell'amministratore delegato del Cane a sei zampe: "In questo momento le nostre attività sono ferme", scrive il manager dopo lo stop alle attività del Centro oli di Viggiano e l'avvio della cassa integrazione. "Non voglio usare giri di parole per spiegare questo stato di cose, la verità è che non abbiamo alternative"
“Vorrei soprattutto ribadire con forza che non siamo avvelenatori: ambiente e salute sono le nostre priorità e per nessuna ragione metteremmo a repentaglio chi abita i luoghi che ci ospitano e chi lavora nei nostri impianti”. E’ uno dei passaggi della lunga lettera pubblicata oggi sui giornali lucani e firmata dall’amministratore delegato dell’Eni, Claudio Descalzi. Il manager, oltre a ripetere i contenuti del messaggio a pagamento comparso sulla stampa nazionale due settimane fa, come reazione all’inchiesta di Potenza che ruota intorno al centro oli di Viggiano, sottolinea che “è sulla base di un lungo processo autorizzativo che insieme al nostro partner Shell abbiamo investito miliardi nelle attività in Val d’Agri, che ora vengono messe in discussione. Non avremmo preso gli impegni che abbiamo sottoscritto negli ultimi due decenni se non avessimo ricevuto tutti i permessi del caso”.
In seguito al sequestro del centro, dallo scorso 31 marzo è sospesa la produzione di 75mila barili al giorno di petrolio e la compagnia il 19 aprile ha annunciato la fermata generale e la messa in cassa integrazione dei 354 dipendenti. “Dopo tanti anni di presenza di Eni sul territorio, con le nostre persone e le nostre attività – aggiunge Descalzi – mi sento di dire che in Basilicata ci consideriamo di casa. Qui, come altrove nel mondo dove operiamo, non abbiamo mai puntato al solo profitto, bensì a valore, sviluppo e tutela dei territori. Abbiamo costruito da più di vent’anni un rapporto con questa regione, siamo qui per restare a lungo e creare benessere e opportunità di crescita”.
“Certo, in questo momento le nostre attività sono ferme e so bene quali preoccupazioni sta creando in tante famiglie lo stop del Centro Olio Val d’Agri (Cova)”, continua la missiva. “Non voglio usare giri di parole per spiegare questo stato di cose, la verità è che non abbiamo alternative“, sostiene Descalzi. “Stiamo offrendo la massima collaborazione all’Autorità giudiziaria, siamo i primi a esigere che faccia chiarezza fino in fondo, incluso sui comportamenti dei nostri dipendenti locali coinvolti. Proprio per questo, però, non possiamo permettere che ci siano fraintendimenti. Dal punto di vista tecnico e operativo non è possibile proseguire – nemmeno parzialmente – l’attività produttiva del Cova. Non esiste, infatti, una soluzione alternativa di tipo industriale che consenta di evitare la fermata degli impianti. Il Centro Oli dovrebbe essere parzialmente riprogettato dal punto di vista impiantistico e ingegneristico ed essere sottoposto a un nuovo iter autorizzativo, diverso da quello seguito negli ultimi 20 anni, per operare non più come un impianto esclusivamente energetico, ma anche come un impianto di trattamento rifiuti. Ipotesi del tutto irrealistica, sia dal punto di vista industriale che normativo”.
Descalzi ha aggiunto che “se si pensa che in Basilicata si faccia qualcosa di diverso da ciò che avviene in altri Paesi, mi permetto di sottolineare un dato: nei campi onshore di tutto il mondo la percentuale di acqua di produzione re-iniettata è pari all’89%, con punte nei campi delle Americhe (95%) e in Europa (92%), continenti nei quali non si può certo pensare che la legislazione sia ‘permissiva’. Mi rendo conto che il tema è molto tecnico e da addetti ai lavori, ma ci tengo a dire questo: noi riportiamo semplicemente le acque trattate a 4000 metri sotto terra, nell’ambiente sigillato e impermeabile dove sono state per decine di milioni di anni. E’ il metodo scelto come standard internazionale ed è il modo migliore di evitare impatti ambientali. Tutti gli studi effettuati in Val d’Agri, soprattutto quelli che abbiamo commissionato a esperti indipendenti italiani e internazionali, hanno stabilito che la re-iniezione non solo è conforme alla legge italiana e alle autorizzazioni vigenti, ma anche alle migliori prassi internazionali”.
“Organizzeremo occasioni di approfondimento sul territorio e se sarà necessario andremo porta a porta, da vicini di casa, a spiegare e cercare di fare chiarezza, contro ogni strumentalizzazione”, si conclude la lettera. “Proprio per andare fino in fondo a questa vicenda, chiederemo un incidente probatorio tecnico in contraddittorio con la Procura, che consenta di verificare sia la conformità dell’impianto alle best practice internazionali, sia il rispetto della normativa italiana”.